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Intervista a Suzuki Seijun

Immerso in un'oasi verde, in una calda e bianca giornata settembrina, si ripara sotto un ombrellone Suzuki Seijun, regista di "Pistol Opera".

Festival Venezia

03.09.2001 - Autore: Simone Godano
Immerso in unoasi verde, in una calda e bianca giornata settembrina, si ripara sotto un ombrellone Suzuki Seijun, regista di Pistol Opera. Al nostro arrivo, cordiale e elegante Sejiun si alza dalla sedia e inchinandosi si presenta. Subito ci chiede un giudizio sul film e noi rispondiamo che lo abbiamo paragonato a una donna. Sorpreso, ride e ci chiede per quale motivo. Non ci sembra molto daccordo, ma rimane comunque affascinato dalla nostra affermazione.   Tra il mostrare e il raccontare lei sembra preferire il mostrare. Per quale motivo? Pistol Opera è un film e come tale la sua prima funzione deve essere quella di mostrare. E questa lessenza del cinema.   Perché per il ruolo del killer ha scelto una donna così affascinante? Allinizio avevo concepito questo film con un protagonista maschile poi ha preso corpo nel mio immaginario lidea di una donna killer. Credo sia molto più affascinante e interessante, e anche divertente.   Sembra forte nelle sue immagini una visione onirica della realtà. Che ruolo hanno i sogni nel suo cinema? I sogni sono importanti, ma in Pistol Opera lobbiettivo non è stato quello di costruire o rappresentare un sogno, quanto quello di non far coincidere il tempo con lo spazio, di rappresentare una realtà non lineare.   Quali sono i suoi miti cinematografici? Da loro copia? Sicuramente quelli della mia generazione da Ford a Hitchcockma a loro non credo di aver mai rubato nulla. Anche il cinema italiano è molto bello e ricco di grandi registi. Il film che più mi è rimasto impresso è Morte a Venezia di Visconti.   Se una Major hollywoodiana le offrisse una buona sceneggiatura, lei accetterebbe di dirigere il film? Il mio stile, ma anche il senso del mio cinema sono troppo differenti dalla cultura hollywoodiana, quindi sarei costretto a rinunciare.   E diventato un regista cult per molti giovani. Ma è anche diventato un regista cult per i nuovi registi cult come Tarantino, Besson, Jarmush e John Woo. Che effetto le fa? E una cosa che si è instaurata in maniera artificiale, un po stranetta. E stato un processo stupido, come un film stupido. Comunque è stata una scelta loro, divertente, ma certamente non mia.   Il film è intervallato da piccole e grandi rappresentazioni teatrali. Che cosa rappresentano per lei? Linserimento di scene di matrice teatrale non è tanto voluta, ma dipende dal fatto che molte delle persone che hanno lavorato al film, dallo sceneggiatore agli attori, hanno una base teatrale. Quindi ognuno ha portato qualcosa di suo in questo senso. Leffetto è quindi teatrale, ma non originariamente voluto.   Quale fase tra la scrittura, le riprese e il montaggio la coinvolge maggiormente? Nessuna (ridendo) mi affido ai miei collaboratori con cui lavoro da molti anni. Loro sanno esattamente cosa voglio e difficilmente mi deludono, sanno interpretare il mio pensiero.   Nellepoca che Scorsese ha definito Il duemila: la morte del cinema, lei non si è stancato di fare cinema? Il Cinema non muore.. finché cè la possibilità di costruire immagini il Cinema vivrà sempre.   Felici della risposta ci alziamo e imbarazzati salutiamo. Quale miglior augurio per chiudere unintervista.      
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