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Harry Belafonte e la sua missione

Musicista, attore ma anche uno dei più grandi attivisti dei diritti civili che la storia americana abbia mai conosciuto. Lo abbiamo intervistato a Berlino

Harry Belafonte

23.02.2011 - Autore: Pierpaolo Festa, nostro inviato a Berlino
Gli americani lo hanno paragonato a un pompiere che va incontro a un palazzo in fiamme, imboccando l’ingresso proprio mentre decine di persone si mettono in fuga: questo è Harry Belafonte, artista a tutto tondo che ci ha regalato musica e poche ma notevoli performance cinematografiche (impossibile dimenticarlo in “Kansas City” del maestro Altman).  In inglese si usa il termine starstruck e cioè quella sensazione che ci lascia senza parole davanti a una celebrità: questo è quello che proviamo con Belafonte, vero gentiluomo che incontriamo in occasione della presentazione di “Sing Your Song” alla sessantunesima Berlinale.

Harry Belafonte e Martin Luther King

Diretto da Susanne Rostock, il documentario mostra un altro aspetto della vita di Belafonte, focalizzandosi totalmente sul suo impegno nel campo umanitario dalla fine degli anni Cinquanta alla nostra epoca e mostrandocelo al fianco di personaggi come Martin Luther King, John Kennedy e star come Paul Newman, Sidney Poitier e Marlon Brando, pronto a cambiare la storia americana e affrontare ogni tipo di battaglia nel nome dell'uguaglianza. “Una delle cose che la regista è riuscita a fare – afferma Belafonte – è stata mettere in parallelo la mia vita da artista sui palcoscenici e l’altro aspetto in cui mi sono dedicato insieme ai miei amici per cambiare il volto della società. Vivere queste due dimensioni per me non è stato affatto facile”.

Come mai ha deciso proprio ora di realizzare quest’opera?
Inizialmente molti mi hanno incoraggiato a scriverci un libro o realizzare un film, ma ho sempre detto no, perché non potevo trovare alcuna giustificazione, a parte una ragione molto narcisistica. Sono rimasto molto influenzato dopo la morte del mio grande amico Marlon Brando. Quando se ne è andato, abbiamo perso non solo un grande uomo ma anche una vera icona culturale americana. Volevo mostrare anche quello che lui e altri miei amici scomparsi hanno fatto per il bene di questa società.  

Harry Belafonte insieme a Marlon Brando, Charlton Heston e James Baldwin nel 1963

Ci racconti come avete cominciato ad assemblare il documentario...

Lo scopo era quello di dare spazio a tutte le voci che potevamo raccogliere. Ci siamo ritrovati con oltre ottocento ore di girato e mi sono reso conto che non avevo alcuna idea di fin dove saremmo arrivati o quale direzione avremmo preso. È stato lì che è arrivata Susanne con la sua entusiasmante visione, e adesso il film parla da sé.

Nel film vediamo quella volta in cui Petula Clark la prese per mano in TV? Si aspettava quel caos mediatico e tutto quello scandalo?

Affatto, non pensavo sarebbe scoppiato il caos. Io e Petula lo abbiamo capito solo dopo: ricordo che stavamo cantando e lei mi ha preso per mano con grande naturalezza, perché eravamo felici per il nostro numero. Lo hanno definito “inaccettabile”. La verità è che si trattava di una nuova era per l’America e per il mondo. Le morti del Dr. King e di Bobby Kennedy avevano risvegliato la voglia di farci avanti per cambiare il nostro tempo.

Harry Belafonte presenta Sing Your Song al sessantunesimo Festival di Berlino

Questo film dovrebbe essere mostrato in tutte le scuole, lei che ne dice?

Certamente il nostro target principale sono i più giovani che non conoscono questa storia, ma credo anche che il film si rivolga a un pubblico molto più grande.  È importante per noi mostrare che a volte è stato possibile arrivare a un percorso di libertà, senza ricorrere ad alcuna violenza o bagno di sangue. Bisogna sempre trovare un altro approccio per affrontare l’oppressione. Oggi sempre più giovani filmmakers e documentaristi riescono a raccontare la loro storia, sono certo che il giorno in cui i potenti degli Studios smetteranno di dire agli artisti cosa fare non è poi così lontano.