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Film.it intervista Takashi Miike

In occasione dell'uscita di "Yattaman", vi raccontiamo il nostro incontro col leggendario Takashi Miike, che ci ha parlato della sua carriera e del suo "13 Assassins"

Yattaman

29.01.2011 - Autore: Marco Triolo
Gli appassionati di cinema orientale riconoscono al volo il suo stile pop, tanto che spesso è stato accostato a Quentin Tarantino, di cui è amico e fan. Il suo ultimo lavoro a giungere nelle sale italiane, l'adattamento del famoso anime “Yattaman”, non fa che confermare il suo amore per l'azione roboante e coloratissima, sopra le righe e fiera di esserlo. Ma Takashi Miike ha anche da poco realizzato “13 Assassins”, una pellicola che ha sorpreso un po' tutti con uno stile decisamente più tradizionale. Il film, di cui qui trovate la nostra recensione, è il remake di un classico di Eiichi Kudo, e dà a suo modo un'idea molto precisa di quale sia l'identità attuale del regista, sempre più intenzionato a girare film a basso costo per “avere libertà creativa e poter esplorare nuovi terrori”. Con lui abbiamo discusso della sua carriera, di cinema e televisione e soprattutto della sua opinione sul sistema di Hollywood.

Kyoko Fukada in Yattaman

In che modo è entrato in contatto con “Yattaman” e che influenza ha avuto su di lei?
Quando l'ho visto per la prima volta in TV avevo diciotto anni, quindi non ero esattamente parte del pubblico “target”. Ma ebbe comunque un certo impatto su di me: guardandolo, potevo dimenticare per mezz'ora i miei problemi da adolescente. E poi c'era anche una piccola perversione: è stato il primo anime a mostrare dei seni femminili. Cose che i tuoi genitori non volevano normalmente che tu vedessi!

A cosa si è ispirato nella realizzazione del film?
Adattare un anime al cinema live action non è mai facile, perché si rischia di tradire i personaggi. Volevamo rispettare l'originale e divertirci nel girare il film, quindi abbiamo deciso di realizzarlo come se fosse semplicemente un altro episodio della serie TV.

I protagonisti di Yattaman

Come ha conciliato la sua ben nota rapidità di esecuzione con un film stracolmo di effetti speciali?
Normalmente, nei film con tanti effetti c'è un regista o uno specialista con il compito specifico di occuparsi delle sequenze al computer. Ma nel nostro caso abbiamo lavorato come un'unica squadra: ovviamente c'erano esperti di effetti speciali, ma io ho diretto tutto. C'è voluto un sacco di tempo, comunque: dopo aver terminato le riprese, abbiamo passato sei mesi a elaborare gli elementi in CGI. In quel caso non si lavora su un vero set, ma è sempre meglio che il regista si occupi anche di quelle scene. In questo modo, le due parti non sono in conflitto tra loro.

Lei è noto per uno stile spesso sopra le righe e molto visionario. Perché nel caso di “13 Assassins ha scelto un approccio così classico?
L'originale “13 Assassins” non è un film per la mia generazione, ma per quella dei miei genitori, ed è stato fatto in un periodo in cui l'industria cinematografica giapponese era fiorente ed era guidata da grandi Studios. Eravamo interessati a girarne una versione ora che non c'è più uno studio system. Per quanto riguarda lo stile, è diverso perché questi tredici personaggi sono molto tradizionali, e ho voluto rispettare loro e il film originale. La gente, specialmente i produttori, è alla continua ricerca di cose nuove, anche se il concetto di novità è spesso confuso e nessuno capisce cosa sia davvero “nuovo”. In “13 Assassins” abbiamo ridotto al minimo la computer graphic e non ci sono riprese ad effetto o super-ralenti. Se cerchi solamente la novità, finisci per diventare un inventore di tecnologie anziché un regista. Penso che a volte potrebbe essere divertente, ma se devo fare un film preferisco concentrarmi sul progetto invece di perdere tempo a inventare nuove tecnologie.

Un duello all'ultimo sangue in 13 Assassins

Perché proprio questo remake e perché proprio ora?
Non posso dire molto sulla tempistica, non è che abbia deciso che andava fatto adesso, è stato il risultato di una serie di eventi. Non puoi chiedere a un bambino che è appena nato “perché sei nato adesso?”. La vera domanda è “perché questo film è necessario adesso?”. Nel 1963 nessuno avrebbe mai pensato che “13 Assassins” sarebbe stato rifatto nel 2010. Penso che ogni pellicola abbia un destino, io ho sempre voluto fare un film storico e quando il produttore me l'ha proposto, ho accettato.

Parliamo della sua carriera: che cosa le riserva il futuro?
Una delle cose che conta di più nel mio mestiere è quanta libertà si ha nel realizzare un film. Un modo per avere maggiore libertà è diventare un regista migliore, così che la gente si possa fidare di te: più fiducia vuol dire più libertà. Ora che ho cinquant'anni, e mi sono reso conto che non vivrò in eterno, vorrei realizzare soprattutto progetti piccoli, in modo da avere ancora più libertà di farli a modo mio.

Uno dei samurai di 13 Assassins

Non è interessato dunque a lavorare a Hollywood?
Ho avuto diverse offerte da Hollywood. La più grande differenza con il Giappone è che a Hollywood comprano non tanto il tuo talento, ma il tuo tempo. Ti fanno firmare un contratto che ti ruba uno o due anni di vita. Con i loro soldi vogliono comprare la tua libertà, ma per me il tempo non può essere comprato. Se lavorassi a Hollywood, credo che spenderei l'80% delle forze a contrattare il mio tempo e solo il 20% a occuparmi davvero del film. E' meglio spendere il 100% del tempo a fare un film, e l'unico modo è non fare parte del sistema.

Ma se si trattasse di progetti televisivi come “Imprint”, l'episodio di “Masters of Horror” da lei diretto?
Quando mi hanno contattato per “Masters of Horror”, mi hanno detto più o meno “l'America è un paese libero, puoi fare quello che vuoi”, ma alla fine non hanno neanche mandato in onda l'episodio. Ma se qualcuno mi chiedesse di fare ancora una cosa del genere, la farei. Ora sto lavorando a una serie TV per ragazzi in Giappone. Per me la cosa più importante è avere almeno un po' di libertà creativa e la possibilità di esplorare nuovi terrori. Quindi non rinuncerei mai a lavorare con troupe straniere per creare qualcosa di nuovo.

Il regista Takashi Miike

Qual è il suo rapporto con Quentin Tarantino?
Siamo fan l'uno dell'altro. Quando ho scoperto che era nella giuria ho pensato che non fosse il momento migliore per presentare il mio film qui a Venezia!

Quali sono le sue influenze principali?
Direi che il mio maestro è Shohei Imamura, per il quale ho lavorato come assistente alla regia. Non mi ha influenzato tanto nello stile di regia, quanto nello stile di vita e nel rapporto con il cinema. Per lui creare film era l'unico modo per scendere a patti con la vita: ha creato la sua compagnia di produzione e ci ha messo i suoi soldi, perché all'epoca solo con i film riusciva a comunicare quello che sentiva esattamente. Da lui ho imparato soprattutto che un regista non può copiare il lavoro degli altri, ma deve trovare la propria strada ed esprimere la propria personalità, che in fondo è il modo in cui si vive. Quando mi dicono “fai troppi film, dovresti rallentare”, io so che per me è impossibile: questa è la mia personalità, il mio modo di fare le cose, e devo continuare così. La sceneggiatura di “13 Assassins” è stata scritta proprio dal figlio di Imamura, Daisuke Tengan, con cui ho collaborato anche per “Masters of Horror”. Gli ho detto di fare il film come voleva lui, senza ascoltare i produttori. Senza la sua visione, il film non ci sarebbe stato o sarebbe stato diverso.


"Yattaman" è distribuito nei cinema da Officine Blu


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