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Dal cabaret al cinema

Dal cabaret al cinema

verdone

19.04.2001 - Autore: Valentina Bisti
Chi era Verdone negli anni \'70?   C.V. \"Era un ragazzo che frequentava l\'Università, che poi si è laureato il Lettere Moderne con indirizzo storico-religioso e che, con ogni probabilità, sarebbe entrato all\'istituto delle religioni del vicino Oriente antico. Questo sarebbe stato il mio approdo naturale. Poi nel 1972 arrivò nella mia vita Roberto Rossellini e sconvolse tutti i miei progetti. Vide alcuni miei lavori, alcuni super 8 che avevo appena girato. Sai, era l\'epoca delle sperimentazioni, dei filmstudio, dei cineclub che presentavano la filmografia di tanti cineasti americani come Andy Warhol, Gregory Marcopulos, Mario Schifano, Yoko Ono. Quindi, influenzato da quella sperimentazione d\'avanguardia, con la cinepresa super8 che mi fu venduta da Isabella Rossellini per 80mila lire, cominciai a fare dei filmetti sperimentali che nulla hanno a che vedere con quello che faccio oggi.   Per esempio?   C.V. \"Erano sperimentazioni sulla deformazione degli oggetti, sullo spazio, sul tempo. Erano dei poemetti visivi accompagnati da brani musicali spesso elettronici. Insomma era un Carlo Verdone intellettuale che si butta sulla sperimentazione pura. Fu così che portai uno di questi film in un festival importantissimo a Tokyo e vinsi il primo premio. Avevo 21 anni. A questo punto Rossellini apprende la notizia, vede i miei lavori e mi incoraggia ad entrare al centro sperimentale di cinematografia. Il gioco è fatto. Faccio una deviazione della mia laurea per accostarmi agli studi di cinema ed ecco che la mia tesi si trasforma in \"Influenze della letteratura italiana nel cinema muto\", chiudendo così, il capitolo della storia delle religioni\".   Mentre eri al centro sperimentale eri consapevole che stava nascendo in te una passione nuova?   C.V. \"Si, ma non ero assolutamente consapevole di quello che sarebbe successo dopo. Nel momento in cui ho preso il diploma in regia ho iniziato a lavorare come documentarista. Ho girato molti documentari in Toscana, sull\'Accademia musicale e il Palio di Siena, sui castelli del panorama laziale. Per me era un lavoro ma alla fine mi sono reso conto che non succedeva nulla. Trovare un posto come aiuto o assistente alla regia era difficile. Ero stato assistente di Zeffirelli in \"Fratello sole e sorella luna\", avevo lavorato in film italiani minori\".   Quando c\'è stata la svolta?   C.V. \"Una sera sono andato a un teatro a Via Alberico II a Roma e, dopo cena, parlando con i gestori, mi improvvisai imitatore. Mi lanciai in imitazioni di caratteri prevalentemente italiani e italioti. Loro mi chiesero di prendermi una quindicina di giorni liberi e provare ad esibirmi sul palcoscenico. Io, in maniera molto pioneristica e avventata, ho accettato e mi sono ritrovato a scrivere, in una settimana, quello che sarebbe stato lo spettacolo che avrebbe cambiato la mia vita\".   Cosa c\'era di così particolare nelle imitazioni che facevi?   C.V. \"Io catturavo il DNA di certi caratteri. Dalla voce risalivo alla tipologia. Insomma, io sono uno che cammina con un taccuino in mano prendendo appunti e raccontando a modo mio i dettagli legati alla realtà che ci circonda. Penso che il mio lavoro sia stato egregio, con delle opere che sono riuscite meglio e altre che hanno avuto meno riscontri\".   Quali sono stati i film che hanno segnato un cambiamento in te stesso e nel pensiero comune?   C.V. \"Ci sono stati dei film che hanno sottolineato il cambiamento di un linguaggio, di un costume. Basti pensare a \"Un sacco bello\", \"Bianco Rosso e Verdone\" che era già più romantico, a \"Borotalco\" che lo ritengo un film molto importante, a \"Viaggi di Nozze\" che, dal punto di vista del costume e del linguaggio, ritengo abbastanza importante soprattutto per l\'episodio di Ivano e Jessica. E poi c\'è tutta una filmografia più intima che va da \"Maledetto il giorno che t\'ho incontrato\" a \"Io e mia sorella\" e \"Compagni di scuola\". Ecco così che il mio pubblico si divide. Anche perché io l\'ho abituato a una programmazione un po schizofrenica. O il virtuosismo dei personaggi o le commedie più intime\".   Ma quali sono i film che ti hanno dato la consapevolezza di essere un regista apprezzato e amato da una larga fetta di pubblico?   C.V. Sembra strano ma questa consapevolezza io lho avuta quando mi trovavo di fronte a un film minore. Proprio queste opere sono una linea di congiunzione tra ciò che hai fatto e ciò che stai per fare. A quel punto mi rimbocco le maniche e cerco di alzare il tiro. Non a caso i film migliori sono arrivati sempre dopo un film di transizione. I film che considero i più belli, come Maledetto il giorno che tho incontrato e Compagni di scuola, sono arrivati dopo un film o un periodo in cui sentivo la grande necessità e la voglia di fare qualcosa di nuovo, di importante. Insomma, ogni tanto serve avere delle incertezze durante il proprio percorso.   E difficile fare lattore e il regista allo stesso tempo?   C.V. Si, è molto difficile. Si va avanti soprattutto per intuizione. E importante avere dei buoni collaboratori, ma alla fine sei tu che devi avere il termometro di te stesso. Io posso avere un buon controllo della cinepresa, vedo gli altri, ma a me, chi mi vede? E come se fossi un po cieco, devo sentire io quello che faccio ed è una cosa che si acquista con il tempo, lesperienza e la sicurezza.   Come si comporta Verdone sul set?   C.V. Sono una persona molto allegra, easy. Ho un ottimo rapporto con gli attori, primo perché li so scegliere e loro sono bravi e anche perché li dirigo molto bene. E spesso, per dirigere bene loro, devo mettere da parte la cura verso di me. Comunque credo che mi vogliano bene tutti quanti, perché sul set non cè mai un clima di pesantezza. Cè sempre unaria di grande compagneria, di affiatamento, di leggerezza.      
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