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Da Paul a Jean Paul, il Belmondo più privato che non vedremo mai

Al Festival della Commedia di Monte-Carlo incontriamo il figlio del grande attore francese, omaggiato da un documentario itinerante.

06.03.2016 - Autore: Mattia Pasquini, da Monte-Carlo (Nexta)
"La prima risposta di mio padre quando gli ho detto di voler fare questo film è stata 'ma perché? non ne vedo il motivo'...", così presenta il documentario Belmondo par Belmondo nel quale - diretti da Régis Mardon - il leggendario Jean Paul e il figlio Paul ripercorrono parte della storia dell'attore francese attraverso alcune location dei suoi film. Un film - che non sarà programmato in Italia per "problemi di diritti" - che ci presenta una immagine più completa e una fotografia (fin troppo, forse) reale della persona Belmondo, più ancora della star: i suoi amori, gli amici, lo spirito e l'amore per il rischio che lo portava a rischiare la vita negli stunt delle scene che girava. Di questo e di altro abbiamo parlato con lo stesso Paul Belmondo, ospite del Monte-Carlo Film Festival de la Comédie di Ezio Greggio

"C'è il personaggio che volevo mostrare - continua Paul Belmondo, parlando del padre. - E quello che lui voleva far vedere. Non si sa se quello che racconta sia vero o no, anche perché quando per esempio ho cercato di farlo parlare delle sue donne, mi ha fatto capire chiaramente che non voleva dire di più…".

Un racconto che parte proprio dall'Italia, da Cinecittà. Perché?
Perché il suo primo viaggio da giovane, con Jean Pierre Marielle, è iniziato proprio dall'Italia. Abbiamo voluto creare un parallelo con la sua vita. Il film, su esplicita richiesta di TF1 non doveva essere raccontato in ordine cronologico e abbiamo pensato che questo potesse essere un buon inizio. Inoltre abbiamo origini italiane, quindi…

Per Jean Dujardin è "quasi un padre", ma sono molti a parlarne con affetto filiale…
Questo perché tutte le persone intervenute sono persone che hanno vissuto con lui una parte della sua vita. Questa era stata una sua esplicita richiesta sin dall'inizio e se ci sono Jean Dujardin e gli altri è perché sono gli attori che a lui piacciono. Non li ho scelti a caso, ho chiesto a lui chi volesse della nuova generazione e lui ha fatto i nomi. Volevo un film sincero, fatto da gente che lo conoscesse e che avesse un affetto sincero nei suoi confronti. Abbiamo dovuto fare delle scelte, comunque. Molti non ci sono, come Truffaut. E di Melville parliamo poco, considerati i film che hanno fatto insieme. Purtroppo dovevamo restare nei 90 minuti richiesti e siamo arrivati a 98', ma dalle due ore che avevamo dopo il primo montaggio abbiamo dovuto tagliere. Chissà se un giorno ne avremo una versione più lunga.



Colpiscono i suoi stunt, pericolosissimi. Era un modo di mettersi in gioco, alla prova?
Lui lo dice, all'inizio girava qualsiasi film gli arrivasse, poi la sua carriera ha preso una piega diversa, dal crime alla commedia più popolare, per poi arrivare al teatro, credo il momento più alto della sua storia professionale. Ma lui era così, gli è sempre piaciuto il rischio. Nelle scelte sulla sua carriera e sulla sua vita, come quando ha voluto comprare il Théâtre des Variétés. E insieme è una persona che ha la stessa casa da 40 anni, che non ama il lusso, ma ama viaggiare.

Come ha vissuto questo aspetto, da figlio?
Io ero molto giovane. Ero sul set quando ha fatto alcune delle scene che abbiamo inserito - come quando passa da un palazzo all'altro lungo un cavo sospeso - e l'ho ripreso con la mia piccola macchina da presa. Ma per me era normale, era mio padre. Lui era cosi, sempre, come quando si appendeva alle grondaie a casa di mia nonna o faceva i testacoda con noi piccoli dentro la macchina. Era un misto tra finzione e realtà. Poi quando son cresciuto ho iniziato a capire i rischi che prendeva. Meno male che alla fine ha smesso…

E quanto ha scoperto oggi di suo padre, facendo il film?
Conoscevo molte di queste cose, perché lui le ha sempre raccontate a tavola, in famiglia; ma alcune le ho scoperte adesso. Come quando racconta di avere recitato nelle case di riposo per anziani. Io pensavo avesse iniziato in altra maniera, e invece aveva diciassette anni all'epoca. E poi c'è una parte che non conosco ancora, quella che riguarda la sua vita sentimentale. Anche se lo so che ha avuto molte avventure, non ha voluto entrare in argomento, restando sempre molto geloso della sua privacy.

Un atteggiamento che aveva anche nei confronti della famiglia...
Quando arrivava l'estate era il momento della famiglia e la protezione era totale: non lavorava e non voleva sentirne parlare. Non rispondeva nemmeno al telefono. E per meno male che non c'erano i cellulari a quel tempo. Era un momento solo per noi.

Eppure, come dicevamo, sembra esser stato un padre per molti. Le da fastidio?
No, anzi. Tanto affetto nei suoi confronti non può che avere un effetto positivo anche su di me, in quanto suo figlio. Lui ci ha sempre insegnato ad essere semplici, come lui, che è rimasto una persona normale. Penso che anche per questo si sia creato questo rapporto col suo pubblico, tanto affettuoso. Non l'ho mai visto rifiutare un autografo o una foto, e questo ha fatto sì che anche noi lo vedessimo come una persona normale, almeno nella sua vita di ogni giorno.

È stata questa la sua lezione principale?
Si, questa e quella che ci arriva anche da mio nonno: lavorare, lavorare e ancora lavorare. Nulla si ottiene senza impegnarsi davvero.