NOTIZIE

Al Torino Film Festival due giovani registi nel cuore di tenebra della Tuscia

Intervista agli autori di Il Solengo, documentario ambientato all'interno della comunità contadina della campagna laziale.
   

Il Solengo 

23.11.2015 - Autore: Alessia Laudati (nexta)
Un piccolo mondo antico, conservato intatto nel mezzo della Tuscia laziale, affascina i giovani registi italiani di Il Solengo, figli della modernità e di un mondo sempre più globale, Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi. Al punto di decidere, per testimoniare la propria identità, di raccontare da vicino una comunità ferma ai ritmi della tradizione contadina – al centro della quale si erge un mistero – e fortemente ancorata alla tradizione orale.

Di questo tratta il documentario attualmente in concorso al Torino Film Festival 2015, all’interno della sezione TFFDoc/Italiana.Doc e prodotto da Ring Film in collaborazione con Coda Rossa Film. Un interessante progetto, già vincitore del premio come miglior documentario nel concorso internazionale al recente Doc Lisboa 2015, del quale abbiamo chiesto agli autori di raccontarci genesi e sangue...
 
Com'è stata l'accoglienza per il film a Torino, ma anche a Lisbona, dove il mese scorso avete vinto un premio importante?
ALESSIO: Il film è stato ricevuto con molto entusiasmo dai programmatori del festival Doc-Lisboa e abbiamo avuto un buon riscontro anche dopo la proiezione. Il premio ci ha sorpresi molto, data l’eccellente programmazione della competizione internazionale. Siamo felici e ci auguriamo che questo possa agevolare la vita futura del film; ci interessa soprattutto che venga visto da più persone possibili.  
MATTEO: Lisbona ci ha accolti in modo caloroso, è una città con un’anima antica e si sente la presenza dell’oceano. La sede principale del festival, il Culturgest, è particolare e insolita, grandi corridoi di moquette rossa creano una dimensione temporale atipica. Siamo molto contenti di aver fatto la nostra prima mondiale lì, è stata una scelta che ha regalato al film un’attenzione maggiore, per via della stimolante programmazione della manifestazione.

 
Il lavoro con Il Solengo e con Belva Nera vi ha portato in una sorta di "piccolo mondo antico", fatto di tradizione e di relazioni in qualche modo primordiali. Cosa ha attirato due ragazzi cresciuti nella modernità di queste storie così remote?
MATTEO: Il nostro lavoro precedente, Belva Nera, e Il Solengo sono indubbiamente collegati non solo dal luogo e dai personaggi ma anche da un nostro interesse, modellatosi attraverso la collaborazione con questa comunità. Ancora oggi l’Italia è un paese di tradizioni e di storie.
ALESSIO: Forse è proprio il fatto di esser cresciuti nella modernità che ci fa guardare a questo “piccolo mondo antico” con enorme curiosità. Ci affascina la campagna e vediamo in queste persone e in questi luoghi i frammenti di una realtà italiana che temiamo stia lentamente sparendo. Con il nostro film speriamo di poterne catturare l’essenza (per quanto possibile) illudendoci in qualche modo di salvaguardarla.
 
Che idea vi siete fatti della leggenda su Mario de' Marcella; secondo voi perché ha fatto una scelta di vita così radicale?
MATTEO: L’idea iniziale su di lui si è formata dai racconti della gente del posto, proprio come avviene nel film. Molto importante è stato il momento in cui abbiamo scoperto dove vive Mario, una casa di cura dove ancora oggi la sua nomea lo accompagna. È proprio qui, grazie all’aiuto di una donna del paese (l’unica con cui lui aveva una sorta di dialogo), che ha condiviso con noi alcune esperienze della sua vita, senza mai rivelarci troppo. Non sappiamo perché abbia deciso di vivere così, nel silenzio. Affascinante e misterioso, il Solengo racchiude in se’ tutto ciò che è stato detto sul suo conto, senza confermare né rifiutare alcuna tesi.
ALESSIO: Siamo rimasti molto colpiti da quest’uomo, dalle sue parole e soprattutto dai suoi silenzi. Tuttavia ci siamo presto resi conto che ci interessava soprattutto il modo in cui le storie venivano raccontate e che parlandoci di Mario quel gruppo di cacciatori rivelava qualcosa anche di se'. 
 
Avete trovato sostegno dagli appartenenti alla comunità della Tuscia. Sono stati inizialmente diffidenti?
ALESSIO: Sono stati immediatamente molto disponibili e hanno capito subito quello che cercavamo di fare. Abbiamo lavorato molto su come inquadrarli nel film. Volevamo mostrarne l’essenza, ma allo stesso tempo mantenere la giusta distanza. Abbiamo cercato quindi di rappresentarli più come personaggi che per come sono nella realtà. Si sono dedicati con enorme generosità e fiducia al nostro gioco, regalandoci spontaneità e fantasia, senza remore.
MATTEO: Siamo entrati molto in confidenza con i personaggi che frequentano la casina di caccia e con il loro aiuto abbiamo conosciuto altre persone del paese che potevano aiutarci nella nostra ricerca. Abbiamo stabilito delle amicizie profonde durante questo periodo e gran parte della riuscita del film è dovuta al loro apporto e alla loro fiducia. Si è creata una vera intimità tra di noi, anche per via del fatto che questo è il secondo film realizzato lì (dopo Belva Nera, ndr). Erano molto più sicuri di sé davanti alla macchina da presa rispetto all’esperienza precedente e ci hanno permesso di lavorare a lungo anche quando erano stanchi. 
 
Come avete lavorato sulla natura del luogo? A volte pacifica e armoniosa, altre invece minacciosa e oscura
ALESSIO: La natura svolge un ruolo fondamentale nel nostro lavoro, scandisce i tempi del film e racconta a volte più delle parole. Il paesaggio sostituisce in qualche modo la presenza del Solengo e diventa un vero e proprio personaggio, a volte armonioso altre oscuro, proprio come l’eremita. Abbiamo voluto giocare con diversi livelli di sguardo sul paesaggio, lasciando però allo spettatore la libertà di poter osservare e trarre le proprie conclusioni.  
MATTEO: La Tuscia è una terra interessante, molto diversa dall’ideale romantico della campagna italiana. Quando sei lì hai subito l’impressione di trovarti in un posto antico, cupo e fuori dal tempo dove la natura è ancora selvaggia e dove sopravvivono ancora le tradizioni del luogo. Quando poi cala la sera il buio e il silenzio si impongono sovrani.
 
Secondo voi è nella campagna che si nascondono gli ultimi 'cowboys'? Nel senso di persone portatrici di valori e usanze che stanno in qualche modo scomparendo.
MATTEO: La nostra campagna è meno colpita dalla globalizzazione rispetto alla città, le tradizioni sopravvivono grazie a queste generazioni di uomini che continuano imperterriti a vivere della propria terra. La loro anima è ruvida e al tempo stesso romantica, fatta di valori semplici che può ricordare quella dei film western. 
ALESSIO: Crediamo che molti dei valori della nostra società si nascondano nella campagna proprio come Il Solengo si nasconde nel bosco. Il nostro film è un tentativo di raccontare un mondo senza tempo che sta scomparendo, sovrastato dalla realtà contemporanea.  
 
FILM E PERSONE