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Ab Urbe Coacta, l'altra faccia del razzismo al Festival di Torino

Un ritratto inedito delle paure e i desideri di oggi nel film del regista esordiente Mauro Ruvolo

25.11.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Barella è Mauro Bonanni, un uomo 'qualunque', cresciuto in strada, nella periferia romana, dove gestisce uno storico 'sfascio', vero e proprio crocevia delle umanità più varie, indigene ed extracomunitarie. Tutte affrontate a modo suo, al limite dell'intolleranza, con una sorta di razzismo "non ideologico" - come lo definisce Mauro Ruvolo, regista del documentario a lui dedicato, Ab Urbe Coacta, presentato al Festival di Torino in TFFdoc/italiana.doc - ma con una curiosità che non tutti oggi dimostrano. O hanno.

Nel disagio di una città tanto cambiata negli anni e con la paura di una possibile "invasione", Barella reagisce come sa, come può, in maniera rude, violenta, becero, coatta… o coacta? Costretto a un vita della quale inizia a sentire i limiti. Naturali, come ricorda la poesia che il film ci regala nel suo finale. Aperto, ovviamente, come la storia del protagonista, di Roma e di noi tutti. E del regista, che ci svela alcuni segreti della sua 'esplorazione' e del suo folcloristico 'prigioniero'.



Verrebbe istintivo chiedere dove tu abbia trovato un personaggio come quello di Barella, ma sappiamo che in realtà è tuo zio… È nata così l'idea del film?
Si, me lo sono ritrovato accanto, è il fratello di mia madre. Come capita spesso per le prime cose che si realizzano, ci si guarda intorno, nella propria famiglia, nel proprio ambiente. E io avevo questo personaggione a portata di mano!

Un personaggio che hai seguito per 5 anni? Tanto è durata la preparazione?
È stato tutto poco convenzionale: intanto ho girato completamente da solo, sempre, quasi come fosse un reportage. Ma nei ritagli di tempo. Per esempio, per un paio di anni non ci ho lavorato per niente… Se fossero stati cinque anni filati avrei fatto Ben Hur. Ho girato tanto, comunque, c'è stato un grande lavoro di selezione.

Questo ha condizionato la spontaneità di quello che vediamo, in qualche modo?
Ho frequentato talmente tanto queste persone anche prima di fare il film, da ragazzo, e poi quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, che mi hanno completamente bypassato. Ero presente in qualsiasi cena, karaoke, che giravo continuamente. Non dovevamo prepararsi a un ciak, mettere in scena qualcosa, si sono abituati alla mia presenza, e questo è stato determinante per quel che riguarda la loro spontaneità.



Idem per il viaggio in Africa? Da dove nasce?
Anche per quello, come per tutto il resto del film, abbiamo preso spunto dalla realtà. Cercando poi, magari, di raccontarlo in modo cinematografico. Lui è davvero amico di questo ex operaio africano del Benin. Ed era davvero stato in Africa con lui, più di una volta. La contraddizione che vive tra disprezzo e fascinazione per questi altri luoghi e culture è assolutamente vera.

Disprezzo, appunto… È un film che parla di razzismo, ma quelle di 'Barella' sembrano più delle categorie…
Si, assolutamente. Il suo non è un razzismo ideologico, ma più di 'vita vissuta'. Nel senso che quel che percepisce è un cambio di scenario, da quando era ragazzo a oggi, il fatto che molte attività siano gestite da extracomunitari, e reagisce in una forma che è la sua in qualsiasi relazione, sia che parli con un cliente sia che parli con un operaio. Diciamo che è un razzismo superficiale.

E questi viaggi, cosa gli hanno lasciato? Cosa ha riportato?
Sicuramente sono esperienze che lo hanno arricchito, soprattutto provenendo da ambienti chiusi come quelli che suggerisce il titolo. Si vede un personaggio che aveva quasi bisogno di uscire dalla cerchia stretta dello sfascio, da quel posto angusto. Lui ha sempre cercato di evadere in qualche modo, prima con le moto poi con questi viaggi… A differenza di molti altri di quell'ambiente ha uno sguardo che punta verso l'esterno.



E così abbiamo chiarito il 'Coacta', ma non temi si legga invece più il "Coatto"? Soprattutto fuori Roma…
Quello che volevo raccontare era proprio questo, che anche una persona che saremmo portati a bollare superficialmente come becero, coatto, razzista può regalare dell'altro. C'è una presa di coscienza anche delle nostre contraddizioni. Mi affascinava proprio che un personaggio cosi estremo nascondesse anche questa voglia di evadere dalla sua realtà.

Un obiettivo raggiunto, insomma?
È stata sottolineata e capita la mia intenzione, come anche quella di dimostrare l'evoluzione di un uomo che non ti aspetteresti ne fosse capace. È stato colto anche alla presentazione al Festival di Torino, dove non sono tanti i romani. Forse son state più difficoltà di comprensione, per quanto ne so; anche da parte di un selezionatore, che si è arreso e ha chiesto aiuto al suo collega di Roma. Ma non mi dispiace il fatto che possa essere anche leggermente criptico per l'uso del dialetto, che sia un film che nasconde molte piccole cose, da scoprire magari in una seconda visione. In fondo però il vocabolario è abbastanza limitato… se capisci il significato di 'mortacci tua' già hai capito metà film.

In un contesto come questo sorprende un po' che quella con il parroco sia solo una parentesi…
È vero, seguendo lui in maniera diaristica forse avrei potuto approfondire quella parte, ma un progetto come questo è di fatto un contenitore modulare, nel quale puoi arrivare a parlare di tutto. Manca anche il calcio, per esempio, come mi hanno fatto notare alcuni, ma è inevitabile dover fare delle scelte. Soprattutto considerate le tre ore di girato che avevo alla fine, nelle quali c'era anche qualcosa di più in quella direzione.

Vivere una sola vita è una prigione è il messaggio che arriva dall'Africa, in una splendida poesia, da dove viene?
Si tratta di Mok di Ndjock Ngana, che è il protagonista di uno degli aneddoti più divertenti della realizzazione del film. Tutto nasce dalla necessità che sentivo di inserire un testo africano in una parte un po' vuota del film e che mi ha spinto a cercare su vari libri e su internet. Dopo solo un paio di poesie ho trovato questa, e subito mi è parsa perfetta per il film, davvero scritta a posta. Quando mi son rimesso  cercare, però, per scoprire come contattare e dove fosse l'autore, se in Africa, negli Stati Uniti, o chissà dove, ho scoperto che viveva sulla Prenestina, a due passi dal mio studio! Dopo mezz'ora ero da lui a registrare, visto che nel film per altro la recita lui.
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