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Ultimi film a Venezia

Come spesso capita a Venezia, gli ultimi due giorni di programmazione non hanno riservato i grandi nomi ed i film importanti della prima parte del festival, ma ci sono stati comunque alcuni lavori di indubbio valore che vale la pena segnalare.

Man From Plains

07.09.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Come spesso capita al festival di Venezia, gli ultimi due giorni di programmazione non hanno riservato i grandi nomi ed i film importanti della prima parte del festival, ma ci sono stati comunque alcuni lavori di indubbio valore che vale la pena segnalare; primo tra tutti il coraggioso documentario di Jonathan DemmeMan from Plains”, incentrato sulla figura dell’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter e della campagna per il suo libro “Palesatine: Peace not Apartheid”, che ha generato grandi dibattiti e polemiche. Il cineasta, che già aveva commosso il pubblico nel 2003 con il bellissimo “The Agronomist”, realizza un affresco preciso ma assolutamente non agiografico di una delle personalità americane più liberali e schierate della politica americana del dopoguerra.

Alla veneranda età di 82 anni Jimmy Carter rappresenta ancora uno degli uomini più lucidi ed attivi della vita politica e sociale del paese, costantemente schierato nelle battaglie democratiche non soltanto interne, ma soprattutto volte e ritrovare un equilibrio pacifico e giusto nelle vicende internazionali. La sua difesa strenua del popolo palestinese “rinchiuso” nelle mura erette dallo stato d’Israele, e quindi privato della maggior parte dei suoi legittimi diritti umani, è raccontata in “Man from Plains” con partecipazione e sincerità, sviscerando in molte occasioni aspetti della personalità e del pensiero politico di Carter anche in contraddizione tra loro. Ciò che ne è venuto fuori è un ritratto che spiega semplicemente come dovrebbe essere un vero democratico in America, e che testimonia in filigrana come il passaggio di consegne da Carter a Reagan nel 1980 non sia stato meno grave per la democrazia mondiale di quello tra Clinton e Bush nel 2000.

Piuttosto riuscito anche “Le Ragioni dell’aragosta”,  nuovo documentario (?) che Sabina Guzzanti ha presentato al festival, ma che è stato tutto sommato frainteso dalla stampa italiana, forse troppo ansiosa di trovarvi un discorso critico nei confronti del nostro sistema socio-politico; il vero motivo conduttore dell’opera è invece il racconto di un gruppo di comici/amici che ha fatto al storia della recente “TV libera” in Italia, e che si ritrova molti anni dopo a fare i conti con il proprio passato e soprattutto con un presente ben più incerto; se visto sotto questo punto di vista, il lavoro della Guzzanti convince ed in parte anche commuove.

Tra le opere attese che hanno invece deluso, bisogna testimoniare la confusione narrativa  e la retorica adoperata da Amos Gitai nel suo “Disengagement”, incentrato sull’evacuazione dei coloni israeliani dalla striscia di Gaza, e l’altrettanto scontato “12” di Nikita Mikhalkov, sorta di remake sovietico de “La Parola ai giurati” di Sidney Lumet, che serve però al regista per raccontare in maniera eccessivamente populista e schierata l’odierna situazione russa.

Questi i film di maggiore interesse visti in questi ultimi giorni al Lido, in attesa di sapere quale pellicola trionferà domani sera conquistando il 64° Leone d’Oro.   
 

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