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Tuhog
Il regista filippino racconta una vicenda forte e usa il pretesto del film nel film per galleggiare tra una storia di denuncia sociale e il cinema come strumento di intrattenimento.

30.08.2001 - Autore: Leonardo Godano
Fino a che punto un autore è disposto a scendere a compromessi? Si
può distorcere la realtà per il bene del prodotto? Queste le due ricorrenti e
contorte domande che trapelano nel corso del film “Tuhog”.
Un film nel film dove la finzione scenica si appropria di una storia vera per
poi abbandonarla nel momento della verità.
Il regista filippino Jeffrey Jeturian, alla sua terza pellicola, racconta una
vicenda forte e usa il pretesto del film nel film per galleggiare tra una
storia di denuncia sociale e il cinema come strumento di intrattenimento.
In cerca di un’occasione di rilancio, un regista disposto a tutto si imbatte
in un soggetto ideale leggendo il giornale: un anziano allevatore di
bestiame che per anni ha violentato la figlia, aveva iniziato a violentare
anche la nipote. Un produttore di soft porno accetta di finanziare il
progetto purché contenga delle scene esplicite di sesso. Le due donne
accettano con riluttanza di vendere al produttore i diritti di sfruttamento
della loro storia. Il regista intanto accontenta il produttore forzando molto
la mano e facendo diventare la pellicola un vero e proprio soft porno.
Quando il film esce nelle sale, le due ragazze si accorgono che la storia
sullo schermo ha solo usato il contesto sessuale della vicenda e escono
dalla sala distrutte mentre il pubblico crede che quella raccontata sia la
realtà.
Un complicato gioco d’incastri è la chiave di lettura dell’intera pellicola.
Tutto ruota intorno alla differenza tra realtà e finzione e il regista usa due
diversi tipi di scrittura: da una parte tagli e fotografia da documentari
sociali dall’altra movimenti di macchina luci e rumori dei film di serie b.
Anche il confronto tra le donne è emblematico. Le due donne violentate
sono isteriche, deboli e sfinite mentre le donne che recitano nel film sono
vittime stile Hollywood.
Lo stesso regista ci conferma queste sensazioni. “I concetti di verità e di
arte sono soggettivi, la percezione della realtà varia a secondo
dell’esperienza dell’individuo, così come la sua rappresentazione varia
secondo l’occhio del regista”.
L’unica certezza rimane quella che, in un fantomatico duello tra realtà e
fiction, ha la meglio la manipolazione della verità per fini puramente
commerciali.