“Questo film è una storia complessa – continua il regista – Parla di come sopravvivere alla guerra, di quelli che sono tornati e quelli che non ce l’hanno fatta e di come occorra ascoltare di più le persone. Amo i reporter di guerra perché sono diversi, non cercano di essere degli eroi, ma si preoccupano per gli altri… però allo stesso tempo sono cinici. Al centro di tutto il film, però, c’è l’amore. Per quello che riguarda la mia esperienza personale, quando sono uscito dalla guerra in Bosnia, è stata mia moglie a salvarmi. Per questo mi identifico molto col personaggio interpretato da Colin”.

Tanovic vinse l’Oscar nel 2002 con “No Man’s Land”, anche quel film era ambientato al fronte… la guerra era quella tra Serbi e Bosniaci: “Ma la verità è che non volevo dirigere ‘Triage’, perché non volevo più fare film di guerra. Sono stati i produttori Anthony Minghella e Sydney Pollack a consigliarmi di leggere il romanzo di Scott Anderson da cui è tratto il film. Una volta letto, ci ho immediatamente ripensato e mi sono messo a scrivere il copione. Mi interessava raccontare di cosa succede negli uomini una volta che si smette di sparare e combattere”.
A proposito del suo protagonista, Tanovic continua: “L’ho scelto proprio nel momento in cui è entrato nella stanza, era selvaggio e calmo e io sapevo che sarebbe stato perfetto. Colin è un attore straordinario perché mi ha posto tante domande, questo mi piaceva molto”. E, per quanto riguarda le Nazioni Unite, il regista si scaglia all’attacco: “Non credo nella neutralità delle Nazioni Unite, prendete ad esempio il Darfur… se lì c’è una situazione grave, bisogna intervenire invece di stare a guardare come hanno fatto loro. È come stare a guardare una ragazza che viene stuprata e poi darle un pezzo di cioccolata e dirle ‘vai avanti con la tua vita’”.

Tanovic conclude dicendo: “ Il messaggio di questo film è uno e uno solo: qualsiasi cosa è meglio di un conflitto”.