In Italia, se il cinema di fiction stenta a rinascere, la produzione documentaristica è invece molto viva, sia quantitativamente che qualitativamente. Quanti documentari avete visionato per selezionare i 14 in concorso?
Quest'anno abbiamo preso in visione circa 300 film documentari italiani.
E quale cifra stilistica ne viene fuori?
Quest'anno in particolare siamo molto contenti della selezione e siamo assai colpiti dalla risposta del pubblico. Crediamo che finalmente anche in italia si ricominci a fare documentari con l'idea di fare cinema, e dunque di ragionare in modo assai consapevole sulla forma e sul linguaggio. Da questo punto di vista, il documentario italiano è particolarmente interessante perché si sta permettendo un lavoro sullo stile che il cinema di finzione ha dovuto abbandonare per conformarsi a certe esigenze più legate ad aspetti produttivi e distributivi, piuttosto che creativi.
Quali sono i temi e i comuni denominatori più presenti nei documentari in concorso al festival?
È difficile rintracciare temi comuni e filoni: ci sono film rivolti al racconto di situazioni sociali e politiche marginali (nel senso che non trovano spazio nei grandi media); ci sono film che usano il linguaggio documentario per raccontare, esorcizzare, analizzare storie familiari e intime; c'è una voglia di confrontarsi con il mondo esterno, anche fuori dai confini nazionali, consapevole e non banale.
Quanto è ancora ampio il gap rispetto alla produzione straniera, in particolar modo anglosassone?
Bisogna distinguere le strade e le scuole. Io credo che i film documentari più interessanti e innovativi non vengano più dal mondo anglossassone in particolare, ma anche da Francia, Germania, Cina, Svizzera, Argentina, Sud-Est asiatico. Insomma: il film documentario anglosassone è forse quello più forte economicamente, ma non quello più interessante dal punto di vista linguistico. Sono convinto che finalmente anche il cinema documentario italiano si stia a poco a poco rimettendo in confronto con quello che si produce oltralpe. Certo, di nuovo, dal punto di vista creativo e stilistico, non certo produttivo e economico.
Se la produzione documentaristica in Italia è fiorente, anche perché sostenuta spesso da fondi istituzionali ed europei, il problema resta quello distributivo. È ancora così o qualcosa sta cambiando?
La distribuzione di film documentari in italia è pressoché inesistente, ma il problema distributivo italiano è generale. Escono pochissimi film in sala e spesso in modo fugace. E anche il nodo produttivo è controverso. La maggior parte dei film che mostriamo al festival sono piccole produzioni, spesso autoproduzioni...


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16.11.2009 - Autore: Stefano Milano