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Southland Tales

Il weekend di proiezioni alla Croisette ci ha riservato la prima delusione di questo festival: dopo un cult come "Donnie Darko", nella selezione ufficiale è stato presentato il secondo lungometraggio di Richard Kelly

Southland Tales

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Il weekend di proiezioni alla Croisette ci ha indubbiamente riservato la prima, cocente delusione di questo festival: dopo l’inaspettato successo di un “cult” generazionale come “Donnie Darko” (id., 2001), nella selezione ufficiale è stato presentato il secondo lungometraggio di Richard Kelly, “Southland Tales”. Il giovane cineasta in qualche modo ha scelto di insistere sulle tematiche del suo fortunato esordio, ed ha deciso al tempo stesso di alzare il tiro per quanto riguarda la costruzione della storia e l’espressività della messa in scena. Ciò che ne è venuto fuori è un lungometraggio di due ore e quaranta incomprensibilmente prolisso e sconclusionato, in cui invece di gustarsi una tagliente parabola sull’irrazionalità e la follia del nostro tempo si assiste ad un pasticcio pieno di personaggi istupiditi e banalità da soap-opera di second’ordine. Quello che maggiormente sconcerta di questa pellicola è l’assoluta mancanza di lucidità e senso della misura con cui è stata realizzata: prima su tutte la sceneggiatura, che al suo interno contiene una quantità esagerata di spunti e deviazioni, tutti sviluppati con preoccupante superficialità; allo stesso tempo la messa in scena di Kelly, sfavillante e modaiola, rende perfettamente l’idea della presunzione di questo cineasta, difetto comunque già riscontrabile in filigrana in “Donnie Darko”.

Invece di concentrarsi su una trama accessibile e linearmente capace di condurre ad una fine ben determinata, Kelly accumula discorsi e scene che tra loro hanno pochissima logicità; “Southland Tales” si dipana così come un’accozzaglia di siparietti slegati tra loro, in cui anche se uno o due alla fine possono risultare divertenti, il senso che alla fine regalano allo spettatore è quello di un’estrema frammentazione narrativa. Perché caricare lo script di così tante suggestioni e sotto-trame, se poi non si riesce a chiuderne coerentemente neppure una? Quando si arriva alla sequenza finale del film, non si capisce infatti bene come ci si è arrivati, e soprattutto perché le figure in campo stanno facendo quello che fanno. Quale difetto maggiore può avere un lungometraggio? A tentare di elevare le sorti del progetto non contribuiscono troppo neppure gli stralunati attori, che a parte il simpatico Dwayne Johnson – ex “The Rock” – si muovono civettuoli ed insipidi come starlett isteriche.

Estremamente confuso e frammentato, peggio ancora saccente e presuntuoso nella realizzazione “Southland Tales” smentisce abbastanza clamorosamente il talento di Richard Kelly, e quindi quanto di buono ci aveva fatto intravedere con “Donnie Darko”. Se si vuole fare critica sarcastica alle contraddizioni della società contemporanea, non si può farlo dall’alto di un pulpito di cartapesta…

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