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Pina - La recensione da Roma

La più grande rivoluzionaria della danza rivive nel bellissimo documentario di Wim Wenders

Pina 3D

01.11.2011 - Autore: Federica Aliano
Movimenti reiterati, ossessivi. Sempre uguali in un crescendo di ritmo e di intensità. Come in un rito. Quello che serve a esorcizzare rabbia, dolore, repressioni, sempre volto alla positività e alla gioia. Tirar fuori la sofferenza, liberarsene, riscoprirsi, capirsi. Pina Bausch era (anche) questo. La sua morte improvvisa ha lasciato un vuoto incolmabile non solo nel mondo della danza, ma in quello dell’arte tutto. Da anni con l’amico Wim Wenders progettavano di portare su grande schermo alcune delle sue più grandi coreografie. Ma il cineasta, che mai avrebbe sminuito il lavoro di Pina con un mezzo narrativo inadeguato, ha atteso e atteso, fino a che la tecnologia 3D (studiata e messa a punto con particolari scopi visivo-narrativi proprio per questo film) non è arrivata a un livello per lui soddisfacente. Purtroppo Pina non ha potuto assistere nemmeno a una ripresa. Il suo sogno è stato raccolto dai suoi danzatori, fedelissimi e inconsolabili, che hanno convinto Wenders a non arrendersi.

Cafè Müller”, “Kontakthof”, “Vollmond” e soprattutto quel capolavoro assoluto che è la versione di Pina de “Le Sacre du Printemps” sono le coreografie scelte per “Pina”, intervallate da a solo dei danzatori del Tanztheater Wuppertal che reinterpretano gli insegnamenti e i movimenti di Pina, rendendole omaggio, dimostrando allo spettatore – anche a quello più digiuno di questa arte del movimento – come uno stesso gesto possa assumere differenti valenze e significati a seconda di chi lo esegue e lo interpreta.

Wenders porta la danza fuori. Fuori dal teatro della compagnia stabile, fuori dagli studi di prova, le restituisce quel palcoscenico naturale che è la vita, lascia che i danzatori si muovano in cima a una collina, sotto la monorotaia di Wuppertal, sul treno, in una piscina… Il movimento si riappropria dello spazio che gli appartiene, in una sensazione tattile, in una regia assoluta e partecipativa che fa sentire lo spettatore parte di un tutto che si respira, si tocca, si esperisce. Proprio come voleva Pina.

Perché sopra ogni elemento di questo film c’è lei, non solo quando danza in completa solitudine sullo sfondo di “Cafè Müller”, ma in “Ogni gesto, ogni passo, ogni singolo movimento”. La rivoluzionaria dallo sguardo più dolce e più penetrante dell’ultimo millennio vive ancora. Finché si danzerà, nulla sarà perduto.

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