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L'orfanite di Wilma Labate

Intervista a Wilma Labate

Domenica

02.02.2001 - Autore: Beatrice Rutiloni
Domenica di Wilma Labate, prodotto dalla Sidecar e da Rai Cinema e distribuito dalla Mikado, è stato selezionato per la sezione Panoramadel festival di Berlino. Il film è liberamente tratto da un romanzo di Juan Marsè Ronda del Guinardo, su cui la regista assieme al co-sceneggiatore Sandro Petraglia, ha fatto un lavoro di trasposizione sia fisico, spostando il luogo dellazione dalla Spagna al sud Italia, sia temporale, posticipando la vicenda dagli anni 40 del franchismo ai nostri giorni. Del romanzo politico da cui origina il soggetto non è rimasto poi molto. Una sceneggiatura che si è fatta scegliere dagli stessi attori: Amendola, che interpreta il ruolo dellispettore Sciarra, e la piccola Domenica Giuliano, si sono impadroniti dei ruoli da subito. Questo film segna un ritorno della regista ai toni intimisti del primo lungometraggio Ambrogio, anche se il tema dellorfana era presente né La mia generazione, ma soggiogato da una struttura narrativa sofisticata e frutto del lavoro di più persone. La bella fotografia è affidata ad Alessandro Pesci che ha sostenuto tanto bene lambientazione in un cellulare della polizia di La mia generazione quanto i cromatismi pieni di significato di questo terzo film della Labate, ambientato a Napoli. La Napoli città portuale come la Lisbona di Ambrogio, che la regista vive e conosce per amore, e che possiede in sé una perdita continua, e che diventa la terza protagonista di Domenica.   Lei non si è fatta mai problemi a confessare le sue aspettative, le invidie. Sperava di essere selezionata in concorso a Berlino?   W. L. Il mio tirare fuori le emozioni fa parte di un percorso analitico che ho fatto. Avrei preferito essere in concorso e poter vincere anche un premio, ma nel momento stesso in cui lo dico, annullo ogni sentimento di rivalsa. Alla fine va bene così. Il film di Ferzan (Ozpeteck) non lho ancora visto, avrei preferito vederlo prima di Berlino, ma a questo punto lo vedrò lì. Mentre Malena è un film molto bello, curato, ricco, ben confezionato. Inoltre credo che sia anche un film con un grandissimo riferimento al neorealismo, contrariamente a quanto è stato detto da molti. E possibile che la confezione così raffinata riesca a confondere le idee.   Dal neorealismo italiano a Gianni Amelio, i bambini sono sempre stati usati per mettere gli adulti di fronte a uno specchio. In Domenica mi pare che ci siano molti riferimenti. Tra laltro lei hai ammesso che Mouchette di Robert Bresson è sempre stata una fissazione.   W.L. Di certo non possiamo liberarci, nel senso positivo del termine, del grande retaggio del nostro cinema. Per quanto riguarda Mouchette è un mito. Non si può neanche osare paragonarsi. E un film che ha lasciato dei segni profondi nelladolescente che ero quando lho visto per la prima volta. E un inseguimento continuo, in ogni film che faccio cè Mouchette. Cè un altro film citato, forse meno evidente, anche perchè semisconosciuto al pubblico, che è Moderato cantabile girato nel 59 da Peter Brook con Jeanne Moureau e Jean-Paul Belmondo, tratto da un romanzo di Marguerite Duras. Cè un elemento potentemente struggente che ho voluto rendere, anche se quella è una storia damore.   Come hai scelto Domenica Giuliano?   W.L. Fra settecento bambini visti in moltissime scuole napoletane. Oltre alla bravura, alla spontaneità, alla grande carica vitale, mi ha colpito per un senso di profonda ironia che lei ha. E una ragazzina spiritosa con se stessa. Al terzo provino, cercando di farle capire che ero decisa a prenderla, le ho messo il copione in mano e lei mi ha detto Per ricordo?. E stato lì che non ho più avuto dubbi. Con Claudio (Amendola), con cui ho già lavorato e che trovo un corpo di cinema, cioè un attore molto importante anche fisicamente, ha stabilito da subito un rapporto di grossa confidenza. Il primo giorno delle riprese gli ha detto Dammi del tu, così ha conquistato anche lui. Questa sintonia perfetta tra loro credo sia ben leggibile nel film, oltre ad essere stato molto utile per me.   Sembra esserci un filo conduttore nei suoi tre film, i temi del viaggio, della perdita e del sogno.   W.L. Si. E quella che io chiamo orfanite, il senso della perdita che almeno una volta nella vita ognuno di noi sente. Credo che questo sia un sentire molto forte e grandemente cinematografico, un elemento di racconto molto ricco e intenso. Non voglio dire con questo che mi piace raccontare storie di abbandono ma trovo che la solitudine, come sentimento astratto, sia una roba da cui può scaturire tutto un raggio di altre emozioni molto intense.   Come mai ha scelto di rendere Napoli una città così presente nel suo film?   W.L. E la mia seconda città, mio marito è napoletano. Non credo di aver girato le bellezze della città. Napoli è imprevedibile, mi ci sono accostata con umiltà, ci hanno girato tutto e tutti, ma conserva ancora qualcosa di incontrollabile, è questo laspetto che ho voluto rendere.  
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