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Lo scandalo dei sentimenti

Il primo weekend di Cannes è cominciato con due pellicole che possono essere messe a confronto, in quanto propongono uno stilema narrativo comune su cui poggiano invece poetiche della messa in scena diametricalmente opposte

Selon Charlie

22.05.2006 - Autore: Adriano Ercolani
Il primo weekend di Cannes 2006 è cominciato con due pellicole che in qualche modo possono essere messe a confronto, in quanto propongono uno stilema narrativo comune su cui poggiano invece poetiche della messa in scena diametricalmente opposte. Nella sezione ufficiale abbiamo potuto assistere all’equilibrato e sobrio “Selon Charlie” della regista Nicole Garcia, mentre fuori concorso è stato presentato lo scandalo annunciato del fragoroso “Shortbus”, opera seconda di quel John Cameron Mitchell che con la sua pellicola d’esordio, “Hedwig” (Hedwig and the Angry Inch, 2001) aveva destato l’interesse della critica internazionale, raggiungendo a sorpresa la nomination al Golden Globe come miglior attore nella sezione musical/commedia.

I due lungometraggi hanno in comune la coralità delle storie narrate, che si intrecciano tutte intorno al tema principale della confusione sentimentale e della ricerca di un equilibrio interno da parte dei vari personaggi. La Garcia, seguendo in maniera pedissequa gli stilemi di un certo tipo di cinema francese, costruisce un’opera in cui situazioni e dialoghi risultano la parte fondamentale della messa in scena: adoperando con discreta efficacia i toni dolceamari tipici di questo cinema, l’autrice ci regala un film ben cadenzato e pieno di personaggi gustosi, ma che quasi in nulla possiede un pizzico di originalità; alla fine della proiezione si ha quindi la sensazione di aver assistito ad un prodotto ben confezionato ed intelligente, ma tutto sommato abbastanza innocuo.

Diverso il discorso per “Shortbus”, che pur con tutti i difetti e le ingenuità del caso è un’opera vibrante, a tratti davvero sentita. Ambientato prevalentemente nella comunità gay newyorkese, il film mette in scena con estrema veridicità – ma mai in maniera gratuita – la confusione e la promiscuità sessuale di una serie di figure alla ricerca confusa ma costante di un’identità precisa, dietro cui si nasconde sempre la difficoltà ad esprimere con libertà i propri sentimenti. Schietto fino a rischiare l’eccesso, “Shortbus” testimonia con grande partecipazione la sincerità di Mitchell nel raccontare i problemi della comunità gay americana. L’adesione dell’autore al tema trattato lo porta addirittura ad una sorta di eccesso di empatia, per cui ad un certo punto “Shortbus” sembra imboccare la strada della favola edificante: le sequenze finali del lungometraggio infatti trasudano un ottimismo che in qualche modo contraddice il doloroso e toccante realismo della prima metà, la quale molto spesso sfociava nella commedia acida ma non perdeva mai il contatto tangibile con quanto mostrato davanti alla m.d.p.. Questo repentino cambio di tono non inficia comunque la riuscita finale di una pellicola “forte” e commovente, in grado di prendere lo spettatore “scandalizzandolo” con la veridicità dei sentimenti.