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L'imbalsamatore

Con L'Imbalsamatore Matteo Garrone partecipa alla "Quinzaine des Realisateurs" del Festival di Cannes 2002. Dopo Terra di mezzo, Ospiti ed Estate Romana, il suo quarto lungometraggio arriva nel mondo del cinema come un fulmine a ciel sereno.

L'imbalsamatore

14.04.2003 -
Il cinquantenne Peppino (Ernesto Mahieux), professione imbalsamatore, propone al giovane Diego (Valerio Foglia Manzillo) di lavorare con lui, data la passione di entrambi per gli animali. Diego accetta, comincia a frequentare assiduamente la casa-laboratorio di Peppino e, dopo una lite furibonda con il fratello, chiede allamico di ospitarlo. I due diventano inseparabili ma il reciproco affiatamento viene interrotto dallincontro con una ragazza (Elisabetta Rocchetti) di cui Diego si innamora. La morbosità del rapporto vissuto da Peppino nei confronti di Diego si traduce presto in tragedia. Diego e Deborah decidono di andare a vivere prima da soli, poi a casa dei genitori della ragazza. Ma, in ogni caso, Peppino è onnipresente. Li segue, fa di tutto per incontrare da solo Diego il quale, più di una volta, cede alla tentazione di scappare con lui, di non impegnarsi nel difficile ruolo di padre (infatti Deborah aspetta un bambino). Linvadente presenza di Peppino nella vita dei due ragazzi diventa insostenibile, non resta che distruggerla per sempre.   Con LImbalsamatore Matteo Garrone partecipa alla Quinzaine des Realisateurs del Festival di Cannes 2002. Dopo Terra di mezzo (1997), Ospiti (1998) ed Estate Romana (2000), il suo quarto lungometraggio arriva nel mondo del cinema come un fulmine a ciel sereno. Vuoi per la tematica a sfondo omosessuale, vuoi perché ispirato a una vicenda di cronaca nera realmente accaduta, il film è stato oggetto di molte critiche e di non poche perplessità, ancor prima della sua uscita nelle sale. Eppure Garrone laveva in qualche modo previsto, precisando prima dei titoli di coda che il riferimento a fatti, persone e luoghi deve considerarsi del tutto casuale. Ed effettivamente lambiguità surrealista del finale, che inverte le parti di vittime e carnefici, lascia pensare ad un escamotage narrativo per eludere leffetto documentaristico. E ancora, niente di esplicito tra Peppino e Diego: la sensazione della loro scomoda dipendenza è affidata in gran parte allambientazione, triste e claustrofobia, felice trasposizione visiva di un disagio mentale ancor prima che fisico. Il personaggio di Peppino, di grande intensità psicologica, rivive perfettamente nellinterpretazione (e nellaltezza) di un bravissimo Ernesto Mahieux, di fronte al quale impallidiscono i più giovani Valerio Foglia Manzillo ed Elisabetta Rocchetti.   Più che il dramma conclusivo, lasciato in sospeso nel finale, è linquietudine di tutto il film che sbanalizza una storia altrimenti abusata. E linquietudine nei dialoghi, sempre in bilico tra il detto e il taciuto; nelle inquadrature, quei primissimi piani che smascherano ogni piega espressiva del viso; nella musica, ripetitiva quasi assillante; negli ambienti interni, sempre poco illuminati e poco spaziosi (primo fra tutti la casa di Peppino, un bunker costellato da animali imbalsamati); negli ambienti esterni, degradati e malinconici, di memoria pasoliniana. Infine, è linquietudine estetica dei personaggi: uno troppo basso, uno troppo alto, laltra troppo rifatta.