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Le Contraddizioni del Festival

Due film presentati in concorso tra ieri sera ed oggi hanno ottenuto opposti risultati alla proiezione per la stampa, che ha dimostrato però una superficialità di giudizio

I Padroni della Notte

26.05.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Due film presentati in concorso tra ieri sera ed oggi hanno ottenuto opposti risultati alla proiezione per la stampa, che ha dimostrato però una superficialità di giudizio che molto deve alla vena intellettualoide che pervade molti (troppi) dei giornalisti che frequentano il festival di Cannes.

Una valanga di fischi ha tramortito ieri il poliziesco “We Own the Night” (id., 2007) di James Gray, che meritava invece ben altra attenzione, ma è stato penalizzato dal fatto di essere fondamentalmente “conservatore” – l’opinabilità del fatto ci trova d’accordo, ma questo non deve inficiare il giudizio estetico sull’opera. La storia è quella di due fratelli che si trovano invischiati su opposte sponde nella guerra che si scatenò alla fine degli anni ’80 tra la polizia di New York e la mafia russa. James Gray dimostra di aver fatto propria la lezione dei grandi capolavori degli anni ’70, primo tra tutti quel “Il Braccio violento della legge” (The French Connection, 1971) di Willian Friedkin che ha rivoluzionato le coordinate estetiche del genere. E proprio le due scene in cui Gray si ispira direttamente al lavoro del “maestro” sono le più belle del film: l’inseguimento tra auto sotto la pioggia ed il finale nel capannone abbandonato si candidano a buon diritto ad essere tra i migliori momenti di cinema di questa rassegna. Pellicola dall’impalcatura narrativa solidissima – a parte alcune forzature narrative nell’ultima parte – “We Own the Night” è un noir durissimo, dalle atmosfere perfettamente calibrate, decadenti, ed interpretato con partecipazione ed aderenza ai rispettivi ruoli da un cast di prim’ordine come Joaquin Phoenix, Mark Wahlberg ed il grande vecchio Robert Duvall. La sua appartenenza specifica ad un genere ben determinato non ne aiuta probabilmente il giusto posizionamento nel festival, ed il metterlo in concorso non è stata di certo la scelta migliore. Sta di fatto però che il film di Gray è un lavoro ideato e confezionato con enorme professionalità, a cui si aggiunge una visione personale e molto precisa degli stilemi portanti del poliziesco.

Una discreta dose di applausi ha invece accompagnato la proiezione di “Une Vieille Maitresse” (id., 2007) di Catherine Breillat, macchinosa opera in costume che evidenzia tutta la spocchiosità della sua autrice. Questo lungometraggio in costume si segnala soprattutto per la povertà della ricostruzione scenografica e per le quasi insopportabili lungaggini dei dialoghi. L’idea di messa in scena della Breillat è evidentemente celebrale, salvo poi lasciarsi andare in scene di sesso incoerenti con il contesto dato e neppure visivamente spiazzanti, come in passato. Il suo film risulta un guazzabuglio di idee apparentemente sparse a casaccio lungo il film, a cui si aggiungono le interpretazioni monocordi dei tre giovani protagonisti, con in testa una Asia Argento tutta smorfie ed espressioni corrucciate. Allora ci si chiede: a parte il superficiale intellettualismo che sta alla base di  “Une Vieille Maitresse”, perché la stampa avrebbe dovuto applaudire quest’opera?