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Le belve di Spielberg

Le belve di Spielberg

sequel

30.08.2001 - Autore: Luca Perotti
Il Cinema ha sempre cercato di concretizzare le immagini interiori, le fonti di smarrimento e di panico delluomo, scegliendo spesso di occultarle o, più precisamente, di metaforizzarle con lausilio di animali selvaggi, bestie feroci di varia natura e origine, che in tutta la loro aggressività danno corpo a conflitti archetipici mai totalmente risolti dallessere umano. Anche Steven Spielberg ha sovente delegato al suo personale bestiario la trasmissione di tali paure recondite. Il muso dello squalo, le sue orribili fauci salivano dagli abissi delloceano per fare a brandelli i bagnanti della spiaggia di Amity. Il mostruoso pescecane, giustamente accostato alle celeberrime gesta della balena bianca Moby Dick, reso invisibile dal pelo dellacqua, rappresenta, come la sua parente Melvilliana, listinto puro, lirrazionalità della Natura e del divino contro cui luomo è destinato a misurarsi, a combattere per far prevalere la civiltà; ed è proprio leroe civile, lo sceriffo Martin Brody, ad eliminare lincubo totemico. La sovranità della natura è sempre pronta, però, a mostrarsi alluomo in tutta la sua brutalità, soprattutto se luomo si permette di alterarne il corso, di giocare ad essere Dio come nel caso del parco di divertimenti a tema preistorico. Luomo viene aggredito dal frutto della propria presunzione e costretto a giocarsi il tutto per tutto in duelli in cui la preda diventa predatore e viceversa. Il primo film di Spielberg è proprio Duel, e sebbene non ci fossero bestie ad incutere paura allamericano medio, il muso del gigantesco camion che tormenta il protagonista del film rinvia allo stesso tipo di aggressione, soprattutto perché esso cela un nemico invisibile facilmente rapportabile al demone occulto, al senso di colpa che perseguita, tende agguati e che luomo non può scrollarsi di dosso. Langoscia inspiegabile mina anche il coraggio dellarcheologo Indiana Jones, terrorizzato dai serpenti, altro animale ambiguo, simbolo di una malignità più subdola ma ugualmente recidiva. La wilderness del regista americano si estende anche, nelle vesti di produttore, ai temibili Gremlins, non per niente trasformati da amabili animaletti domestici a terribili creature per mezzo dellacqua, lelemento che in Spielberg nasconde sempre un pericolo, un guasto, unalterazione. Anche il sottomarino giapponese di 1941 Allarme a Hollywood e quello nazista de I predatori dellarca perduta rientrano in questa schiera nonostante la loro mole sia metallica: gli ennesimi colossi senza volto portatori di funeste minacce. Jurassic Park è lapprodo ideale della filmografia di Spielberg al di là degli ovvi profitti economici per i quali il mercato giustifica e spesso partorisce unidea. E lapprodo di un regista il cui cinema è anche un eterogeneo parco a tema, in cui alieni, tirannosauri, squali, camion e via dicendo giacciono apparentemente inermi ma pronti a reagire alla minima sollecitazione. Lo zoo è anche il luogo principe dellesplosione dello stupore infantile; lo sguardo dei bambini spielberghiani, sempre intraprendenti e intuitivi, quasi adulti si potrebbe teorizzare, corrisponde spesso a quello del loro inventore. Tale privilegio scaturisce forse dalla loro prossimità a quelle paure inconsce ancora febbrili, spesso acute; quelle paure che con il passare degli anni si eclissano tra gli anfratti della maturità, si trasformano in fuggevoli frammenti incapaci di svanire. E si ripresentano in tutta la loro massiccia atrocità dietro le sembianze di una belva.