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La Virgen de la Lujuria
Un lungo applauso accoglie in Sala Grande Arturo Ripstein, accompagnato da Ariadna Gil e Luis Felipe Tovar, per la proiezione di 'La Virgen de la Lujuria' che concorre nel 'controcorrente' della Biennale. Applauso ancora più lungo lo saluta al termine.

12.04.2007 - Autore: Matteo Nucci
El Mikado (Luis Felipe Tovar) è un cameriere silenzioso e sottomesso. Tra il bar Ofelia e la sua casa non cè molta differenza se non una scala che dista pochi metri dal bar, mentre unaltra scala sprofonda in una stanza dove El Mikado si raccoglie per infiniti momenti feticisti. Onanismo di fronte a una collezione di fotografie pornografiche di grandissimo valore, vestizione, adorazione di guanti di pizzo intinti nel tè e succhiati avidamente, pettini passati con intensità sui capelli lucidi di gelatina... I rituali che lo accompagnano dallalba al tramonto vengono improvvisamente interrotti dallirruzione, nel bar e nella sua vita, di Lola (Ariadna Gil). Provocante, sensuale, eccentrica, Lola non teme maldicenze: grida i suoi desideri senza far uso di metafore, ma loggetto della sua brama è un uomo che la rifiuta, un lottatore mascherato che, a sentir lei, ha saputo possederla come nessun altro. El Mikado è stregato. Si sottomette senza mezze misure. Rifiuta di toccarla e!
sposta su di lei la potenza del poprio feticismo. Lola accetta ma disprezza. Non sopporta quelluomo garbato, pronto a fare quel che nessuno farebbe in nessuna situazione limite, e lo avverte: non cadere con me, cacciami o ti risucchierò lanima. El Mikado preferisce svuotarsi...
Arturo Ripstein mette in scena la tragedia della sottomissione, tragedia poichè nessun esito è salvifico. Sia che venga ripudiata, sia che venga desiderata, la sottomissione a un padrone non apre spiragli. I rivoluzionari spagnoli finiti in Messico in fuga da Franco dimostrano, con i loro discorsi grotteschi e le contraddizioni in cui sprofondano (come il disprezzo per la semplice rivolta, non rivoluzione dei campesinos), quanto sia difficile rifiutare davvero qualsiasi forma di sottomissione. Mentre il padrone del bar Ofelia, apparentemente severo monarca, è ben più disponibile alla comprensione di quanto lo sia chi chiede a Mikado di liberarsi del proprio servilismo. La stessa Lola è schiava delloppio e del suo desiderio inappagato dal muscoloso lottatore, oltreché della sua mania di dire sempre la verità perché non sono capace di dire la più piccola delle bugie salvo poi raccontare di unorigine russo-tedesca, lei che è più madrilena del Prado.
Nella penombra cara a Ripstein, in poche scene quasi da teatro, il film si snoda come un melodramma a tinte forti. Molti dialoghi, molte scene perfettamente dipinte negli spazi, pochi movimenti che segnano con grande carica le svolte del film. Ma quali sono queste svolte? La domanda è aperta. Dopo un inizio brillante che pare carico di futuro, la storia è ripetitiva e priva di quel pathos che sovraccarica invece dialoghi infine noiosi. Quasi due ore e mezzo sembrano troppe per gli spettatori che, pure, applaudivano intensamente il regista e i due attori principali presenti in sala Grande durante la proiezione.