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La star e l'icona

Una sontuosa Kidman, eterea e sobria aldilà delle mode, ha presentato a Venezia "Birth" di Jonathan Blazer. Un film sul lutto, delicato e magistralmente diretto e interpretato. Strepitosa Lauren Bacall - per lei, la standing ovation della sala stampa.

Birth

12.04.2007 - Autore: Leonardo Godano e Matteo Nucci
Un uomo corre nel bianco nevoso di Central Park. I passi attutiti, lui di spalle, la felpa, il cappello e, quasi fosse un profumo, la musica che lo segue tenendolo come sospeso -- fino a lasciarlo cadere. Si apre un lutto feroce per la donna che lo ha amato più di ogni cosa, mentre da qualche parte nella stessa città un bambino nasce e riceve, casualmente, lo stesso nome dell’uomo morto: Sean. La vita continua, insomma, ma i dieci anni che seguono sono allontanati con un netto salto temporale e l’elaborazione del lutto non viene descritta. Ma che quest’elaborazione debba essersi compiuta dovrebbe essere chiaro: Anna (Nicole Kidman) sta per sposare Joseph (Danny Huston) e la festa per annunciare il matrimonio è sfavillante. Sfavillante di una New York invernale eppure calda, sfavillante di sorrisi, se non fosse per il bambino che aspetta nell’atrio del palazzo e una donna presa dal rimorso del regalo che ha ideato per Anna. Sean (Cameron Bright) ha dieci anni, un viso malinconico e una certezza: essere il marito di Anna. Anna sorride, si arrabbia, cerca di allontanare ogni fantasma ma non vuole non crederci. Cominciano giorni in cui la famiglia viene sconvolta, Joseph perde ogni certezza, la madre di Anna (una magnifica Lauren Bacall) non perde sarcasmo e fredda ironia. Il lutto non è stato elaborato. Anna desidera ancora Joseph e sarà solo la maturità di Sean – capace di scoprire la verità senza tuttavia rivelarla completamente ad Anna – a porre fine alla ‘storia’.   “La musica, più di ogni altra cosa, mi permette di entrare nel personaggio” ha raccontato poco fa Nicole Kidman, immersa in un vestito sobrio, diva eterea quasi aldilà dei tempi. “Ma non voglio rivelare altro, non voglio demistificare nulla”. Che la musica l’accompagni in questo lavoro è chiaro e il film lo dimostra molto più dell’Ipod che porta ovunque con sé. Il suo primo piano eterno durante l’inizio di un concerto di musica classica: gli occhi che lentamente si arrossiscono, la pelle che sembra gonfiarsi, le labbra che tremano mentre la musica cresce. È davvero un’ottima Kidman, quella del film, molto lontana dall’attrice che non ha una gran voglia di rispondere, dice di non ricordare le domande, le gira al bravo regista Jonathan Blazer e semmai le dribbla fingendo di non essere affatto annoiata. Lo spazio così è tutto per la strepitosa Bacall. Dopo la standing ovation che la sala stampa le ha riservato (un applauso lunghissimo, tutti progressivamente in piedi, minuti che hanno fatto impallidire le altre star presenti), l’attrice ha confessato il suo piacere per il lavoro, la sua passione immutata e il suo rispetto per Blazer. Ha raccontato la felicità per aver vissuto abbastanza da arrivare per la prima volta a Venezia, mentre Blazer e Huston (il cui padre, John, fu grande amico della Bacall) la coccolavano come vera icona. Due le icone di questo film, allora.   Un film sul dolore, il rimpianto, l’incapacità di ridare vita ai ricordi. Un bel film. Privo di quelle tensioni erotiche che alcuni avevano preannunciato scandalose. Pieno di delicatezza e, semmai, a tratti, fin troppo delicato. Ma descrivere le ansie, le speranze eppoi la delusione che porta quasi allo sfinimento psichico, in una donna esasperata dall’assenza, descrivere questo con leggerezza non era certo facile. Blazer ha saputo farlo senza scadere nel ridicolo né in quel soprannaturale di cui alcuni sospettavano la presenza. Nicole Kidman in una magistrale interpretazione accompagnata dalla grande Bacall, per mano al piccolo Cameron. Fino al bianco del mare schiumoso e al bianco di sposa sporcato dalle onde nella potente scena finale.
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