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"La stanza del figlio"
La vittoria di Nanni mette d'accordo critica e pubblico. E, dopo 20 anni, la palma ritorna in Italia.
17.05.2001 - Autore: Valentina Bisti
Molti hanno definito La stanza del figlio il capolavoro assoluto di Nanni Moretti. Altri hanno parlato della svolta di un regista da troppo tempo chiuso nel suo autocitazionismo e nel suo autocompiacimento. Altri ancora lo hanno definito come unopera estranea al suo percorso registico. E difficile dire chi abbia davvero ragione, soprattutto perché questo film può racchiudere in se tutte le considerazioni appena fatte. Le persone che non hanno mai amato abbastanza Moretti grideranno al capolavoro assoluto. Ma cosa cè di davvero spettacolare in questa pellicola? Sicuramente la grande serietà con la quale viene affrontato il tema della morte e del dolore. Moretti ha il pregio di saper raccontare in modo estremamente sincero, senza fronzoli, senza eccessivi slanci patetici, un sentimento che fa paura e che, a volte, nel cinema, viene troppo drammatizzato. E una riflessione profonda, coinvolgente, che sprona lo spettatore a superare il limite del già detto. La tristezza, la disperazione, langoscia accompagnano tutto il film e Moretti, non so se per volontà o per mancanza di risorse, riesce di rado a smorzare la tensione che ci attanaglia. Giovanni è uno psicoanalista e nel suo studio si alternano personaggi dalle manie più strane. Da Oscar (Silvio Orlando) che sogna lunghissimi tunnel e migliaia di botole a Tommaso (Stefano Accorsi) che ha seri problemi con la sua perversa sessualità. Altri personaggi, più o meno simpatici, contribuiscono ad arricchire la storia ma non riescono ad alimentare la curiosità o il semplice riso. Certo è che lintento del regista e delle sceneggiatrici è quello di commuovere e di far riflettere. Daltronde La stanza del figlio è un film a parte, al quale Moretti aveva già pensato anni prima e che, solo oggi, con la sua grande esperienza alle spalle, è riuscito a mettere in piedi.