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La nostra vita - La recensione

Il film di Daniele Luchetti, in Concorso a Cannes, convince per intensità della storia e delle interpretazioni. Un bel ritratto dell'Italia metropolitana più periferica.

La nostra vita - Elio Germano, Isabella Ragonese

20.05.2010 - Autore: Andrea D'Addio
E la vita continua
anche senza di noi
che siamo lontano ormai
da tutte quelle situazioni che ci univano
da tutte quelle piccole emozioni che bastavano
da tutte quelle situazioni che non tornano mai!


Sul letto, Elio Germano e Isabella Ragonese attendono il ritornello “Anima Fragile” di Vasco Rossi. Il loro è un canto condiviso di eccitazione, si amano, le loro voci si sovrappongono come l’amore che di lì a poco consumeranno tra le lenzuola. Nella stanza accanto i bambini dormono, ma non abbastanza da svegliarsi e bussare alla porta. Alla periferia di Roma c’è una famiglia felice. Una ventina di minuti dopo, risentiamo nuovamente Vasco Rossi. Stavolta a cantarlo è il solo Elio Germano. Il suo è un grido di rabbia, un assolo di disperazione che punta al cielo. Solo, con tre figli da educare a mantenere, la sua vita è da reinventare. Il lavoro come capocantiere non gli basta più, pretende un appalto tutto da sé come costruttore, vuole soldi, tanti soldi. Pensa che solo il dio denaro potrà riuscire a compensare i suoi tre maschietti dell’assenza della mamma. Ma è davvero così?

La nostra vita

Daniele Luchetti continua a scrivere con Sandro Petraglia e Sandro Rulli e realizza un film cucito sui suoi personaggi. Non c’è una storia nel vero senso della parola, c’è una grossa frattura che rompe l’equilibrio iniziale, ma non  un vero obiettivo, non si va da A a B in senso lineare. Si studiano gli uomini, si ritrae quella che è “la nostra vita”, quella di un uomo lontano dai soliti personaggi del cinema italiano, niente Parioli o problemi sentimentali dalla scarsa presa reale, ma soldi, educazione, rapporti familiari. Luchetti non guarda dall’alto in basso i suoi protagonisti, non descrive con  la presunzione del sociologo che guarda con la lente di ingrandimento, non si accanisce su  chi si fa deviare da consumismo ed ostentazione forse perché ignorante su di loro. Non fa buoni e cattivi. Niente semplificazioni. Al contrario, ciò che fuoriesce dal suo film, è un atto di amore, una giustificata riabilitazione dei valori di persone che cedono alle debolezze come chiunque altro, ma che spesso hanno nel profondo un’umanità molto più alta di politici e cricche di potere varie.

La nostra vita

Per trasmettere questo insieme di sensazioni, era necessario un grande attore. Elio Germano lo è, e Luchetti gli sta addosso dall’inizio alla fine, regalandogli primi piani di grande potenza drammatica e un insieme di variazioni caratteriali che dimostrano l’ampiezza del talento del romano. Accanto a lui, sia Luca Zingaretti, che Raoul Bova (finalmente con un regista che lo sa dirigere), Stefania Montorsi ed il resto del cast, danno credibilità a tutti i personaggi di contorno. Forse la forza della storia di “Mio fratello è figlio unico”, precedente film di Luchetti, era maggiore, ma “La nostra vita” rimane comunque un gran bel film, uno di quelli che ci può rendere orgogliosi di essere italiani anche al festival di Cannes.

Tra i tanti film che sono passati sulla Croisette, “La nostra vita” è uno dei pochi di cui ci si ricorderà anche fra qualche anno.


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