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Incanta la leggerezza di Leigh

La nuova commedia agrodolce "Happy-Go-Lucky" di Mike Leigh è un piccolo grande gioiello di cinema, e certamente la pellicola più riuscita ed equilibrata vista fino ad ora in concorso alla Berlinale.

Mike Leigh e Sally Hawkins

12.02.2008 - Autore: Adriano Ercolani
 

La storia è quella della maestrina Poppy, ragazza con un innato ottimismo che vive la sua vita nella maniera più spensierata e felice possibile. Anche il confronto con alcune contraddizioni ed inquietudini che la società britannica le offrono non riescono comunque ad intaccare il suo spirito allegro, anche se un maggiore conoscenza del mondo che la circonda porteranno in lei una nuova consapevolezza.

  Questo personaggio è uno dei meglio costruiti dell’intero cinema di Mike Leigh, brioso come un cartone animato ma mai forzato od eccessivamente caricaturale. Tutt’altro: Poppy costringe il pubblico a partecipare al suo ottimismo, e ben presto non si può rimanere affascinati, conquistati dalla bravissima Sally Hawkins, ennesima scoperta di un eccelso direttore d’attori come Mike Leigh, che le regala per di più una sceneggiatura scoppiettante di battute ed allo steso tempo equilibratissima nella costruzione psicologica di ogni personaggio messo in scena.

Happy-Go-Lucky” è una commedia che ha il pregio raro di divertire moltissimo ed insieme di restituire un’atmosfera sottilmente amara in cui si muovono le figure. Già, perché pur all’interno di un lungometraggio così leggero Mike Leigh non rinuncia ovviamente a tratteggiare una società urbana meno abbiente piena di incomprensioni e problemi sociali, che spesso sfociano in razzismo strisciante, violenza familiare oppure semplicemente in disagio emotivo e sociale. Ne è perfetto esempio il personaggio di Scott, interpretato da un Eddie Marsan ugualmente ispirato e convincente.



In conclusione vogliamo segnalare altre due pellicole viste oggi e degne di notevole attenzione: si tratta del thriller danese “What No One Knows”di Søren Kragh-Jacobsen e soprattutto del documentario “Standard Operative Procedure” di Errol Morris, incentrato sull’abuso e sulla tortura dei detenuti accusati di terrorismo in mano a militari americani. Pur nella sua estrema impervia visiva, il lavoro di Morris, già premio Oscar per “The Fog of War” (id., 2003) merita di essere citato per la sua sacrosanta volontà di condannare un simile ed ignominioso abuso di potere.
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