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I 3 cortometraggi italiani

I cortometraggi

Berlino

14.04.2003 - Autore: Alessandra Galassi
Il 2 novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini veniva assassinato da un fanatico all'Idroscalo di Ostia. Sono passati 25 anni e una nuova generazione di cineasti e intellettuali decide di dedicare al regista e allo scrittore, alcune immagini che raccontino la sua vita partendo dalle sue parole. Nessun documentario sulla sua vita, sulle sue scelte, sulle sue opere: solo un resoconto di cosa è rimasto oggi, dopo un quarto di secolo, della lezione che Pasolini cercò di insegnarci. Nell'edizione 2001 del Festival di Berlino, quest'anno, oltre a normali lungometraggi, una sezione viene dedicata a documentari e corti, e l'Italia, in quest'ultimo campo, viene rappresentata dalle brevi ma intense opere di Davide Ferrario, Daniele Ciprì & Franco Maresco e Gianluigi Toccafondo. Tele+ ha curato la produzione e la realizzazione dei cortometraggi in lista, la cui durata va dai 3 ai 60 minuti. Gli autori, registi distanti temporalmente da Pasolini, sono tutti ugualmente amanti del pensiero dell'autore, e ce lo raccontano in tre modi diversi, dai loro personali punti di vista. "Essere morti o essere vivi è la stessa cosa" di Gianluigi Toccafondo, "La rabbia" di Davide Ferrario e "Arruso" di Daniele Ciprì & Franco Maresco sono una sorta di viaggio documentaristico all'interno del pensiero di Pasolini, di cui si sente la voce o si vedono le immagini di repertorio, tratte da qualche intervista degli anni Settanta. "La rabbia" appare subito come un film-contro, una sorta di saggio, polemico e fortemente ideologico, come qualche tempo fa lo ha definito lo stesso Ferrario, sugli avvenimenti degli ultimi dieci anni. Girato come un documentario, montato con drammatiche immagini che spaziano dalla pornografia, alle manifestazioni leghiste, alla periferia romana e torinese, alla Bosnia (tutte immagini girate dallo stesso autore), "La rabbia" di Ferrario è quella di una generazione che, vent'anni dopo, accetta l'idea che l'intellettuale di sinistra fosse stato capace di vedere con largo anticipo, i risultati ora evidenti, di quei drammi e cambiamenti della società italiana che lui visse in prima persona. Da molti considerati i discendenti del regista friulano, Daniele Ciprì e Franco Maresco hanno accettato di partecipare a questa commemorazione cinematografica su Pasolini, che raccontano in una singolare maniera, girata e ritratta in quel bianco e nero tutto particolare che rende il loro cinema tendenzialmente diverso. Non è un documentario, non è una riflessione sui pensieri dell'intellettuale, non è un necrologio: il loro corto, che parte dalla farse storica che Pasolini disse in un'intervista "Ho bandito da mio vocabolario la parola speranza", è un'immaginaria intervista ad alcuni personaggi palermitani che si presume abbiano avuto dei rapporti omosessuali con il regista (da qui il titolo "Arruso", che in siciliano significa gay). La loro condizione per partecipare alla rassegna era quella di fuoriuscire dal cosiddetto coro di persone che celebrano il pensiero e l'opera di Pasolini e che rendono il tutto triste e retorico. I due registi hanno chiesto carta bianca e hanno concentrato la loro opera su uno dei lati privati di Pasolini più discussi, appunto l'omosessualità. Attraverso primi piani, gente semi nuda, bianco e nero e dialetti siciliani, il messaggio pasoliniano arriva lo stesso: egli aveva preannunciato una catastrofe sociale e questo si sta avverando. Tutto si sta trasformando, rapidamente e negativamente. Ed è proprio la mancanza di speranza, quella stessa speranza di cui Pasolini non comprendeva più il significato, che accomuna questi registi e le loro opere. L'ultimo contributo, sicuramente il più singolare, è quello di Gianluigi Toccafondo che ha realizzato un corto d'animazione di tre minuti. E' una sorta di "pittura animata", una danza tra le immagini e il pensiero pessimista di Pasolini. Un viaggio attraverso alcuni lavori cinematografici di Pasolini, tra cui "La terra vista dalla luna", "Che cosa sono le nuvole?", "Uccellacci e uccellini", per cercare con l'animazione la comicità e la fisicità degli attori pasoliniani di quelle stesse opere. "Essere morti o vivi è la stessa cosa" è la frase di Pasolini che Toccafondo ha scelto per raccontare a disegni l'idea della morte, che percorre in maniera costante e martellante tutta l'opera dell'autore.
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