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Filippo Timi, una forza della natura

Attore di teatro e cinema, regista, cantante, scrittore, pittore... Uno, nessuno, centomila. Filippo Timi è un vero talento. E pensare che balbetta, ci vede pochissimo, ed è il primo a ridere delle sue 'sfighe'. Ora è diventato anche un sex-symbol.

Filippo Timi

20.05.2009 - Autore: Nicoletta Gemmi
Un giorno entriamo in libreria e ci cattura un titolo: Tuttalpiù muoio. Lo compriamo, lo leggiamo e da lì nasce il colpo di fulmine e iniziamo a tenere d’occhio Filippo Timi. Da quel libro che ci ha fatto ridere, piangere e nel quale ci siamo ritrovati in pieno, anche per questioni anagrafiche - il libro è una sorta di ‘autobiografia’ -, nasce uno spettacolo teatrale, travolgente: La vita bestia. Altra folgorazione, lo andiamo a vedere al Piccolo Jovinelli di Roma, e Timi in un monologo, tiene la sala in pugno. Un trionfo. Filippo, viene da Ponte San GiTovanni, un piccolo paese in provincia di Perugia, da una famiglia molto modesta. Balbetta parecchio – mai in scena o quando interpreta un film, magia dell’arte?! -, ci vede pochissimo a causa di una seria malattia agli occhi, ed è sempre pronto a giocare su quelle che lui chiama: le mie ‘sfighe’. E’ riuscito a trasformare degli handicap in virtù. Ha iniziato a fare l’attore con il teatro, lavorando con Giorgio Barberio Corsetti, e ha vinto il Premio Ubu under 30, il riconoscimento più importante per un interprete di teatro. Da lì sono arrivati piccoli film e, poi, registi e grandi autori si sono accorti di lui. E, ora è a Cannes, con “Vincere” di Marco Bellocchio dove interpreta il non facile e scomodo ruolo di Benito Mussolini.



Il suo prossimo film, che sta già girando, è “La doppia ora”, dell’esordiente Giuseppe Capotondi insieme a Xsenia Rappoport, mentre per il teatro è in giro con uno spettacolo scritto da lui dal titolo: Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche, frase attribuita a Maria Antonietta, Regina di Francia. Ma non ha niente a che fare con lei, è una rivisitazione dell’Amleto di Shakespeare, in chiave moderna e assolutamente personale.
Al cinema lo abbiamo visto nel bellissimo “In memoria di me” di Saverio Costanzo, “Saturno contro” di Ferzan Ozpetek, “I demoni di San Pietroburgo” di Giuliano Montaldo, “Signorina Effe” di Wilma Labate, “Come dio comanda” di Gabriele Salvatores.



Dall’esperienza nata sul set di Salvatores ha scritto un libro - nel frattempo ne aveva già scritto un altro E lasciamole cadere queste stelle - dal titolo: Peggio che diventare famoso. Il libro inizia con il racconto di un suo attacco di panico nel momento in cui la sua agente gli comunica che Salvatores e Bellocchio vogliono fargli un provino per i loro prossimi film. Peccato che i provini siano fissati per lo stesso giorno. Ma, come possiamo dedurre ora, Timi li ha passati brillantemente, dato che è stato scelto da entrambi.



Il mio primo principio lavorativo - afferma Timi, per gli amici Filo - è mai giudicare i propri personaggi. Il secondo, che nessun essere vivente è completamente innocente. Questo è un concetto che ho imparato da mio nonno, l’essere più puro che ho mai conosciuto, ma che ha preso a calci mia nonna. La verità è che siamo tutti animali feriti, solo che qualcuno sanguina più di altri”. “La bellezza del cinema, e del teatro - continua Timi - è che ti permettono di portare fino in fondo le emozioni che non riesci a buttare fuori nella realtà. Amare fino in fondo, così come odiare fino in fondo, urlare fino in fondo. È sempre catartico farlo. Perché comunque la pioggia finta, quella del film, alla fine bagna davvero”.

Piccolo estratto da Tuttalpiù muoio: “Non bisogna più avere paura di credere come bambini che la primavera di un'esistenza si possa esaurire una volta per tutte. Diamoci un'altra possibilità e se necessario ancora, e ancora, e ancora, fino ad arrivare con la caparbietà, con la brutalità, se necessario con la disperazione di prendere con le mani il proprio cuore e farlo comunque sanguinare... Io uomo mi rimetto i pantaloni e ti cercherò negli occhi di ogni donna. Ti Amo”.

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