
“Brooklyn’s Finest” è la storia di tre sbirri spinti ormai ai margini della professione. Uno è un infiltrato ormai da troppo tempo in mezzo ai delinquenti, un altro è un quasi pensionato ormai disilluso e solo, il terzo è un giovane padre di famiglia che non ce la fa con il semplice stipendio. Fare i poliziotti tra quelle strade ti brucia il cervello, ti confonde e ti sbatte dove mai avresti pensato quando si è cominciato, quando pensavi di avere “una missione”. Fuqua racconta tutto questo con uno stile avvolgente, mantenendo sempre alto il ritmo della narrazione utilizzando al meglio colonna sonora, montaggio e movimenti di macchina. Esplicativi in tal senso i primi tre minuti, quando la musica lega la storia disperata del personaggio di Hawke a quella di Gere per poi confondersi con il rumore di un treno urbano su di un ponte che definisce “il luogo” dell’azione: Brooklyn. Belle anche le sequenze delle irruzioni della polizia nei covi dei gangster quando, con veloci piani sequenza, si riesce ad avere una visione d’insieme di tutti i personaggi coinvolti, le fughe, le rincorse, i nascondigli della roba e le ispezioni. Nonostante le tre storie, in sé, non abbiano particolari spunti di originalità, Fuqua riesce a dare al tutto il giusto stile epico, comunicando un senso di compattezza a tutta l’opera.

Ne escono così centoquaranta minuti di dramma e azione, un bel poliziesco che sembra uscito dagli anni ’70, figlio tanto di “Il braccio violento della legge” che di “Serpico”. Qualche semplificazione narrativa (dal cerchietto intorno al luogo del colpo, al flashback che ricorda dove si è visto il volto della ragazza segregata) sono il pegno che il regista ha dovuto pagare alla produzione per realizzare un film così pesante e lungo (due ore e venti significa uno spettacolo in meno al giorno per ogni esercente di cinema): non si può rischiare che qualcuno non capisca, meglio abbondare con le spiegazioni. Buone le scelte del cast: tutti, da Hawke a Gere, passando per Cheadle e Snipes, hanno la faccia giusta per raccontare il declino di un’idea: quella che fare il bene degli altri corrisponde con il fare il bene per sé stessi.
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