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Clean

Olivier Assayas prende il cinema e prova a sollevarlo dai confini territoriali. Dallo sguardo aereo si interessa alle reazioni dell'individuo che vive borderline

CLEAN

12.04.2007 - Autore: Claudio Moretti
Olivier Assayas prende il cinema e prova a sollevarlo dai confini territoriali. Dallo sguardo aereo si interessa alle reazioni dell’individuo che vive borderline. Che cavalca la vita con un piede nella staffa di un paese, di una cultura e un piede in un’altra realtà. Gli ambienti parlano al posto dei personaggi. Provano a dare un’immagine alle loro emozioni. Tra Parigi, Londra e il Canada si compone/scompone la frammentarietà culturale di Emily. La sua fragilità pare fatta di tanti cocci diversi che provano a stare insieme. Di tante sonorità linguistiche che arricchiscono ma si confondono. Ecco il cinema di lontananze che prova ad inscenare Assayas in Clean.

La vicenda prende l’abbrivio dall’anonimo skyline industriale di Hamilton, una cittadina di provincia canadese. Poi nel sotterraneo Grizzly Lunge dove suona una band post-rock. Poi la tragedia. Lee, ex rock-star di  successo negli anni ‘80, muore per overdose in uno squallido motel. Emily, compagnia d’arte e di vita, è accusata dell’omicidio avendogli fornito l’eroina. La vicenda si snoda a quel punto tra il Canada e l’Europa, pedinando la drammatica parabola di Emily. Da musicista emergente è costretta a ricominciare da zero. Un pellegrinaggio in cerca di una nuova esistenza. Liberarsi dalla tossicodipendenza. Poi un impiego umile. Una vita normale per poter riabbracciare il figlioletto, nel frattempo preso in custodia dai genitori di Lee. Quando il mosaico della vita pare ricomporsi dopo immani sforzi, arriva da San Francisco l’opportunità di rientrare nel giro della musica. “Pulita”: dice il titolo del malinconico “Clean”. Come spera di essere ormai Emily. E’ proprio la musica la macro-location del film. Un elemento che si è sempre aggirato con fascino nei film di Assayas stavolta è l’asse centrale.

Come gli auteurs della Novelle Vague, Assayas viene dall’esperienza di critico ai Chaiers du cinema. Lui è un figlio non riconosciuto della Novelle Vague, e anche lui non riconosce granchè quei registi. Stavolta prova a cucire tutto il film su misura per Meggie. Il vestito è da sarto consumato per far risplendere l’attrice. Maggie Cheung, ex compagna di vita del regista, resa diva da Wong-Kar-Wai, si carica sulle spalle tutto il peso drammatico del film, e porta a casa la Palma d’oro a Cannes del 2004. Dopo un film politico come DemonLover torna a prendersi cura delle emozioni di un personaggio. Con una leggerissima cinepresa a spalla prova a regalare a Clean il sapore della vita colta al volo. E invece resta solo un senso di finzione opprimente. Vedendolo, si pensa al tè al posto del whisky e alle caramelle al posto delle pasticche.

Ma può essere che ogni volta debba venir giù Nick Nolte a mettere tutto a posto? Nel personaggio disincantato di Albrecht, il padre di Lee, regala rughe ed esperienza. E soprattutto offre un po’ di finzione ben recitata e non quel realismo fasullo che traspira per il resto del film. Oh, chiaro, sempre meglio che andare dal dentista. Che però finisce per darti più emozioni.