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Bully

Sbarca al Lido il film scandalo di Larry Clark,il discusso regista di "Kids" e lascia la platea disorientata e divisa a metà.

venezia, Bully

30.08.2001 - Autore: Ludovica Rampoldi
Cosa fanno i ragazzi americani di Larry Clark? Canne, sesso, acidi, video porno, stupri e qualche volta decidono di uccidere un loro amico. Il film che come da copione era destinato ad assumere lepiteto di film scandalo del festival, creando aspettative come lanno scorso era toccato a Baise moi-Scopami, lascia la platea disorientata e divisa a metà. Applausi sfrenati e disapprovazioni inferocite sono quello che rimane al termine dalla proiezione. Il regista di Kids sbarca al lido con un film violento, crudo e freddissimo come è nel suo stile, un racconto illuminato da una luce vitrea e inquietante, tratto da una storia vera. Bobby e Marty sono amici da una vita, legati da un rapporto morboso come una vittima e il suo carnefice. Bobby, il bully del titolo, lo spaccone, picchia Marty, si diverte a umiliarlo in pubblico, lo obbliga a ballare seminudo davanti a pedofili gonfi di soldi e di grasso. Il rapporto tra i due ragazzi precipita finché il subalterno non decide di alzare la testa e, coinvolgendo una serie di amici e fidanzate, casi umani di diversa origine e provenienza, pianifica lomicidio che li libererà dal loro tiranno. Il modo con cui decidono di uccidere e ne discutono tra loro e con gli altri è grottesco per glacialità e noncuranza e, mentre il piano prende corpo, le simpatie dello spettatore cominciano inevitabilmente a convergere sul despota in procinto di capitolazione. Danny infatti è intelligente, non del tutto un genio, ma si staglia sulla cricca di semi dementi dissociati che lo circonda. Alla fine è lui più di tutti una vittima, vittima del padre ossessionato dal sogno americano di fare del figlio un fabbricatore di vetri affumicati e autoradio: Ce la puoi fare, sei un vincente. Il sogno americano diventa un incubo di decadenza se manipolato dalle mani sapienti di Larry Clark, il cui materiale umano è composto da adolescenti inebetiti, ragazze scappate da cliniche di disintossicazione, disadattati con famiglie distratte, distanti o castranti. Il massimo della vita è giocare a Mortal Combat sotto acido. Un quadro vivido e desolante che pochi registi americani riescono a schiaffare in faccia allo spettatore con tale irruenza e senza tanti fronzoli; viene in mente il morboso e magnifico Gummo di Harmoy Korine. Il finale di Bully è apocalittico: il bullo muore con spargimento inaudito di sangue e budella, i ragazzini si tradiscono a vicenda presi dal panico e si beccano dai quindici anni di galera allergastolo, mentre lamico del cuore Bobby finisce arrostito sulla sedia elettrica. Locchio di Clark, talvolta con qualche autocompiacimento, registra, denuncia, accusa e punta il dito. Mostra freddamente, clinicamente e oggettivamente, una realtà che lui reputa vera, e non cè motivo per non credergli. Come aveva giurato e spergiurato a proposito di Kids, anche questo film è tratto da un fatto reale e come tale deve essere mostrato. Perché questo è il compito di Clark, a detta delle sue stesse, incredibili, parole: Mi definisco un moralista e la gente ride, lo giuro su Dio. Perché è di moralità che si tratta. In tutti i sensi. Le azioni hanno delle conseguenze.  
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