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Bittersweet Life

Presentata allo scorso Festival di Cannes, questa pellicola di folgorante bellezza estetica merita senza dubbio una visione accurata. Kim Jee-woon dimostra di essere uno dei cineasti di punta dell'emergente cinema coreano

Bittersweet life

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Anche se il giovane Sunwoo (Lee Byung-hun) sembra un normale e gentilissimo direttore d’albergo, in realtà la sua vera occupazione è quella di braccio destro del boss malavitoso Kang (Kim Young-chul). Dovendosi assentare dalla città per qualche giorno, quest’ultimo gli assegna il più strano dei compiti finora impartiti: accompagnare e controllare i movimenti della bella e giovane Heesoo (Shin Mina), di cui il capo si è follemente invaghito. Dopo aver passato un po’ di tempo insieme alla ragazza, Sunwoo scopre che questa ha un amante della sua età, ma il sentimento che sta nascendo per lei non gli consente di prendere i necessari e sanguinosi provvedimenti. La risposta di Kang alla sua disubbidienza costringerà Sunwoo ad aprire gli occhi sulla sua vita e soprattutto sulla sua anima. Sfuggito miracolosamente alla morte, protagonista non esiterà a mettere in atto la più sanguinosa delle vendette…

Il discorso cinematografico di questo interessante Kim Jee-woon, valutato anche alla luce della sua bellissima ultima fatica, sembra piuttosto evidente: lavorare su generi ben codificati e contaminarli con un tipo di melodramma che possa fornire anche una serie di spunti estetici autoriali. Questo processo era già ben visibile nel suo film precedente, l’elegante horror “Two Sisters” (id., 2004); adesso tocca invece al gangster movie, rivisitato in una forma filmica tanto preziosa quanto coinvolgente: dalla fotografia al montaggio, dalle musiche ai vari setting, tutto contribuisce a fare di “Bittersweet Life” una pellicola di notevole impatto emozionale. Se l’incipit della storia è perfettamente calibrato nella presentazione dei personaggi e nell’intreccio della vicenda, tutta la seconda parte invece si dipana intensa e viscerale nel mostrare la vendetta del protagonista nei confronti del suo capo/padrone che lo ha rinnegato. Kim Jee-woon costruisce un puzzle visivo sfaccettato e raffinatissimo, citando spudoratamente – e per questo in maniera quanto mai affettuosa – il cinema di genere americano, in particolare Quentin Tarantino. L’ironia che pervade efficacissima molte scene del lungometraggio tende a sciogliere la tensione del racconto, e soprattutto la forza delle immagini. La sublimata storia d’amore e di presa di coscienza di sé fanno di “Bittersweet Life” anche ciò che precisavamo prima, e cioè in filigrana un melodramma dotato di un suo ritmo interno tanto coerente quanto personale.

Presentata allo scorso festival del cinema di Cannes, questa pellicola di folgorante bellezza estetica merita senza dubbio una visione accurata. Sentito applauso a Kim Jee-woon, che dimostra di essere uno dei cineasti di punta dell’emergente cinema coreano.
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