
La prima parte del film, pur non essendo assolutamente all’altezza della compattezza narrativa e del cinema asciutto regalatoci dal primo lungometraggio, funziona a dovere e ci regala un discreto melodramma, precisamente cucito sulla fisicità e sul volto sempre espressivo di Castellitto.
Dove “Alza la testa” inizia clamorosamente a zoppicare è subito dopo un forte snodo narrativo che avviene più o meno e metà racconto, e da quel momento in poi Angelici non riesce più a controllare un film che procede per accumulo insensato di sottotrame, di generi cinematografici, di personaggi eccessivamente caricati ed in maniera non necessaria. Il regista e sceneggiatore dimostra di voler alzare il tiro rispetto al suo primo lavoro, ma pecca evidentemente di superbia ed imbastisce una storia sovraccarica, ridondante, che frana per eccesso di materiale per incapacità di trattarlo con coerenza e lucidità. La seconda parte del film infatti si rivela confusissima, affrettata, e scade in molti momenti nell’involontaria comicità, errore che per un melodramma è imperdonabile. Castellitto prova a tenere in piedi un personaggio che non ha più nessun equilibrio come fulcro della sceneggiatura, ed anche un attore consumato come lui più di tanto non può di fronte ad una vicenda che prende almeno tre direzioni diverse senza poi imboccarne permanere nessuna.

Se Angelici con “L’aria salata” aveva dimostrato una notevole capacità di centrare un tipo di cinema sintetico, realista e doloroso, con questo secondo lungometraggio denota purtroppo di non riuscire in nessun a padroneggiare tematiche e storie più complesse, naufragando in un guazzabuglio confuso ed inestricabile. Peccato davvero.