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3x1 alla Mostra

Paghi tre prendi uno. Tra "Delivery", "5´2 (Cinq fois deux)" e "The Manchurian Candidate", si salva il film di Ozon con la sua leggerezza e una strepitosa Valeria Bruni Tedeschi. Denzel Washington non basta a Jonathan Demme.

5x2

02.09.2004 - Autore: Leonardo Godano e Matteo Nucci
Venezia. Undicesimo film di Nikos Panayotopoulos, “Delivery” ha aperto la mostra più attesa degli ultimi anni. Un silenzio imbarazzato ha accolto i cento minuti di proiezione. Thanos Samaras è un ragazzo fin troppo silenzioso (pronuncia una sola battuta durante tutto il film) che arriva ad Atene e si ferma nell’angolo più remoto della città, fra ladri tossicodipendenti e prostitute, a cercare lavoro. Ne trova uno come corriere di pizze e lo perde subito assieme al motorino, dopo aver imparato a memoria le strade di Atene su una mappa della città, studiata accuratamente nel solito angolo depresso o al semaforo dove non vende bottigliette d’acqua. Un amore disperato per una ragazza disperata e altri personaggi simili di contorno a una ‘sorprendente’ Atene. Forse colpito dal rinnovamento ‘olimpico’, il regista ha voluto ambientare il film in un’Atene che non fosse riconoscibile in alcun modo. Così come non si riconoscono la lentezza e lo spirito di parodia tipicamente greche che secondo il regista permeerebbero il film.   Ben altro discorso per “5´2 (Cinq fois deux)” di François Ozon. Novanta minuti che scorrono leggeri nelle cinque tappe a ritroso con cui la storia di una coppia viene srotolata sullo schermo. Un’eccezionale Valeria Bruni Tedeschi e il suo uomo, Stéphane Freiss, nei momenti cardinali del loro sofferto amore. Situazioni banali che diventano uniche, situazioni uniche che diventano banali. La rigida formalità delle formule legislative che scoppiano di intensità emotiva durante divorzio e matrimonio. Figli, amanti, parenti (un piacere la presenza del grande Michael Lonsdale), attese, rincorse, telefonate, solitudine, felicità sempre sul filo. Eppoi, via via più travolgenti e descrittive, le canzoni italiane anni ’60, da ‘Una lacrima sul viso’ a ‘Sparring Partner’.   Musica debordante e luce giallastra sulla partita a poker con cui si apre “The Manchurian Candidate”, atteso film di Jonathan Demme. La voce di Denzel Washington e il suo ‘mumbling’ la fanno da padroni. Ma è la realtà? O i sogni che torturano i reduci di un’azione militare nell’Irak del ’91 possono restituire la realtà? Giochi di potere dominati dalla figura di una spietata Meryl Streep e dal potere di una casa farmaceutica accompagnano l’ascesa a vice presidente degli U.S.A. un eroe di guerra (Liev Schrieber). L’intrigo, meno complesso di quanto appaia, è destinato ad essere dipanato quando i sogni di Denzel Washington iniziano a prendere forme sempre più reali. Inutilmente complicato da dialoghi contorti, il remake di “Vai e uccidi”, romanzo di R. Condon, non convince. Nonostante la lunghezza di cui non ci si accorge (Due ore e dodici minuti) e il solito Washington, troppe sono le falle e le allusioni gratuite di un film che segnava il ritorno del regista de “Il silenzio degli innocenti”.