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Stay

Per chi vuole gustare uno spettacolo davvero non convenzionale e cerca un'opera che vada amata prima con l'istinto, o meglio con l'intuito consigliamo allora di non perdere questo lungometraggio sfortunato e delirante

Stay

19.05.2009 - Autore: Adriano Ercolani
Id., usa, 2005.
Di Marc Forster; con Ewan McGregor, Naomi Watts, Ryan Gosling, Bob Hoskins

Partiamo questa volta da dati concreti, che spesso valgono molto più delle parole.

Nel circuito americano “Stay” è stato lanciato con un’uscita media di quasi 1.700 copie, incassando fino ad oggi 3,6 milioni di dollari. Risultato? Un disastro totale. Sempre in patria la critica ha stroncato il senza il minimo dubbio, accusandolo di essere confuso ed eccessivamente macchinoso.

Date tali premesse, se in tutta onestà mi ritrovo a scrivere (a scrivervi) che “Stay” è une delle pellicole più affascinanti che abbia visto di recente, il dubbio di aver preso un abbaglio potrebbe essere pertinente, non credete? Io comunque non ho dubbi in merito…

Inutile stare a tentare di riassumere in poche battute la trama che invece di essere assorbita attraverso la semplice logica va invece “subita” nella sua deframmentazione: più che attaccarsi al canovaccio bisogna rincorrere i rimandi nascosti, le suggestioni quasi oniriche, il senso occulto di quanto vediamo accadere sul grande schermo. Ciò che sorprende nell’approccio al film è la sua estrema coerenza interna: Forster intesse una ragnatela che gioca col mezzo/cinema e lo sfrutta come agente di disturbo anziché come portatore di senso. Le dissolvenze violente, la stilizzazione della luce e soprattutto degli ambienti, il lavoro complesso e poderoso di montaggio “contro” la narrazione: tutto questo assume una sua fisionomia ben precisa, che trasforma questa pellicola in un mosaico rarefatto ma estremamente coinvolgente. Il fattore più sorprendente di “Stay” è poi la capacità di irretire lo spettatore con un’attenzione ai dettagli di sconcertante intensità: oltre alla fattura della messa in scena, sono piccoli tasselli sparsi qua e là, quasi invisibili eppure presenti, che creano quel senso di disturbo e di disagio che contribuiscono alla riuscita dell’operazione. Ina alcuni momenti il film di Forster si avvicina davvero al poema onirico che possiamo gustare tremanti nelle pellicole più sperimentali di un grande cineasta come David Lynch. 

Oltre l’ammirevole lungimiranza della messa in scena ci sono poi i tre protagonisti: in un ruolo da comprimaria, con un personaggio che forse è il meno delineato tra tutti quelli presenti, Naomi Watts non riesce a nostro avviso a dare il massimo delle sue notevoli capacità espressive. Eppure la sua presenza scenica è sempre forte, tangibile, in grado di farla rilucere anche quando non sembra recitare come potrebbe. Ewan McGregor sta sempre più dimostrando di possedere dei mezzitondi che sinceramente non gli avevamo riconosciuto in passato, e tratteggia uno psichiatra confuso ed indifeso al punto giusto. Ma i vero mattatore di “Stay” è senza possibilità di replica Ryan Gosling, doloroso e sommesso come un urlo trattenuto.

Per chi vuole gustare uno spettacolo davvero non convenzionale, e cerca un’opera che vada amata prima con l’istinto, o meglio con l’intuito, prima che con la razionalità, consigliamo allora di non perdere questo lungometraggio sfortunato e delirante. “Stay” è senza dubbio il film più bello di Marc Forster.
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