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Babel

Dopo il folgorante esordio di "Amores Perros" e l'altrettanto intenso "21 Grammi", il regista messicano Inarritu firma "Babel" uno dei film più attesi della stagione

Babel

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Marocco. Due bambini giocano con un fucile, e per provarlo sparano un colpo che cambierà la vita di molte persone. A causa di questo evento incontrollabile si sviluppano in diverse parti del mondo tre storie la cui tematica principale è  la difficoltà di comunicazione che comporta isolamento, solitudine e soprattutto incapacità ad esprimere i propri sentimenti. In una confusa e desolante multiculturalità di lingue e sistemi di comunicazione, ognuno dovrà trovare da solo la soluzione ai propri conflitti.

Dopo il folgorante esordio di “Amores Perros” (id., 2000) e l’altrettanto intenso “21 Grammi” (2001 Grams, 2002), il regista messicano Inarritu continua il suo personale percorso estetico e poetico verso un cinema di fortissimo impatto emozionale. Rispetto ai due film appena citati il cineasta sceglie di alzare il tiro e raccontare non soltanto una serie di micro-storie personali, ma di legarle tra loro attraverso un filo invisibile che ne accentua la portata metaforica: “Babel” infatti possiede una sorprendente compattezza interna, dovuta all’attenzione della sceneggiatura del bravissimo Guillermo Arringa, capace di delineare gli stessi stati d’animo e delle sensazioni pur raccontando tre storie tra loro eterogenee. Se dunque nell’idea di base “Babel” si presenta come una pellicola concettualmente più complessa e rischiosa rispetto alle altre due, con grande intelligenza il regista ha invece optato per un tipo di messa in scena forse visivamente meno elegante rispetto al passato, ma perfettamente coerente nell’appoggiarsi con semplicità e linearità alle tematiche scelte.

La semplicità della visione rende questo lungometraggio fluido ed emozionante come solo i grandi film possono esserlo. Inarritu lavora sempre con un cast ormai collaudato, per cui tutti gli elementi sono perfettamente al loro posto: dalla fotografia di Rodrigo Prieto alle musiche di Gustavo Santaolalla, passando per il montaggio di Stephen Mirrione  - che smussa saggiamente alcune eccessive stilizzazioni presenti in “21 Grammi”. Tutte queste componenti dell’elemento cinema servono al meglio la poetica visiva di Inarritu, il quale si dimostra ancora una volta straordinario direttore d’attori: insieme ad un cast di comprimari di straordinario impatto, i tre caratteristi più conosciuti forniscono tutti una grande interpretazione; ma se di Gael Garcìa Bernal e della Blanchett già lodavamo le consumate doti attoriali, la magnifica sorpresa arriva da un Brad Pitt che impone la sua forte presenza scenica mettendola al servizio di un’interpretazione controllatissima e dolente.      

Inarritu continua ad esplorare al meglio il suo cinema fatto di emozioni che si sentono tangibili e di rimandi che lo sono molto meno. “Babel” è forse la sua opera migliore dal punto di vista dell’equilibrio tra scrittura e messa in scena, raggiungendo in alcuni momenti una rarefazione dell’immagine che porta con sé tutta l’intensità del sentimento. Bellissimo.
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