Marocco. Due bambini giocano con un fucile, e per provarlo sparano un
colpo che cambierà la vita di molte persone. A causa di questo evento
incontrollabile si sviluppano in diverse parti del mondo tre storie la
cui tematica principale è la difficoltà di comunicazione che
comporta isolamento, solitudine e soprattutto incapacità ad esprimere i
propri sentimenti. In una confusa e desolante multiculturalità di
lingue e sistemi di comunicazione, ognuno dovrà trovare da solo la
soluzione ai propri conflitti.
Dopo il folgorante esordio di “Amores Perros” (id., 2000) e l’altrettanto intenso “21 Grammi” (2001 Grams, 2002), il regista messicano Inarritu
continua il suo personale percorso estetico e poetico verso un cinema
di fortissimo impatto emozionale. Rispetto ai due film appena citati il
cineasta sceglie di alzare il tiro e raccontare non soltanto una serie
di micro-storie personali, ma di legarle tra loro attraverso un filo
invisibile che ne accentua la portata metaforica: “Babel”
infatti possiede una sorprendente compattezza interna, dovuta
all’attenzione della sceneggiatura del bravissimo Guillermo Arringa,
capace di delineare gli stessi stati d’animo e delle sensazioni pur
raccontando tre storie tra loro eterogenee. Se dunque nell’idea di base
“Babel”
si presenta come una pellicola concettualmente più complessa e
rischiosa rispetto alle altre due, con grande intelligenza il regista
ha invece optato per un tipo di messa in scena forse visivamente meno
elegante rispetto al passato, ma perfettamente coerente
nell’appoggiarsi con semplicità e linearità alle tematiche scelte.
La semplicità della visione rende questo lungometraggio fluido ed
emozionante come solo i grandi film possono esserlo. Inarritu lavora
sempre con un cast ormai collaudato, per cui tutti gli elementi sono
perfettamente al loro posto: dalla fotografia di Rodrigo Prieto alle
musiche di Gustavo Santaolalla, passando per il montaggio di Stephen
Mirrione - che smussa saggiamente alcune eccessive stilizzazioni
presenti in “21 Grammi”. Tutte queste componenti dell’elemento cinema
servono al meglio la poetica visiva di Inarritu, il quale si dimostra
ancora una volta straordinario direttore d’attori: insieme ad un cast
di comprimari di straordinario impatto, i tre caratteristi più
conosciuti forniscono tutti una grande interpretazione; ma se di Gael Garcìa Bernal e della Blanchett già lodavamo le consumate doti attoriali, la magnifica sorpresa arriva da un Brad Pitt
che impone la sua forte presenza scenica mettendola al servizio di
un’interpretazione controllatissima e dolente.
Inarritu continua ad esplorare al meglio il suo cinema fatto di emozioni che si sentono tangibili e di rimandi che lo sono molto meno. “Babel”
è forse la sua opera migliore dal punto di vista dell’equilibrio tra
scrittura e messa in scena, raggiungendo in alcuni momenti una
rarefazione dell’immagine che porta con sé tutta l’intensità del
sentimento. Bellissimo.


NOTIZIE
Babel
Dopo il folgorante esordio di "Amores Perros" e l'altrettanto intenso "21 Grammi", il regista messicano Inarritu firma "Babel" uno dei film più attesi della stagione

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani