Biennale Venezia 2013
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Moebius – La nostra recensione

Il film scandalo di Kim Ki-duk, un'opera confusa e caotica

04.09.2013 - Autore: Pierpaolo Festa, da Venezia
Scoccati i sessanta minuti nel cronometro di Moebius – dopo tutte le torture (alcune abbastanza insostenibili), le sequenze sadomaso e le castrazioni chimiche o compiute tramite armi da taglio o armi da fuoco - arriva un momento in cui il cerchio potrebbe essere chiuso in maniera perfetta. La famiglia borghese, rasa al suolo all'inizio del film, si ritrova improvvisamente in lacrime su un letto. Padre (fedifrago), madre (psicopatica) e figlio (vittima) disperati ma finalmente riuniti dopo che ognuno di loro ha attraversato un cambiamento. E' lì che il regista coreano avrebbe potuto chiudere la storia - magari strizzando un po' l'occhio al Cronenberg di A History of Violence – invece, a partire da quel momento, Kim Ki-duk continuerà per altri trenta minuti, brancolando nel buio, cercando una soluzione, sperimentando diversi finali e perdendo definitivamente il film.

Di temi ce ne sarebbero anche tanti: la disintegrazione della famiglia borghese, le colpe dei padri che ricadono sui figli, quelle che invece sono solo dei figli. E il sesso come unica moneta di scambio, il fine ultimo dei rapporti umani e l'unica soluzione per l'appagamento spirituale. Moebius diventa interessante qundo il regista va in esplorazione della domanda definitiva: può un corpo – seppur evirato – diventare un unico grande organo genitale e raggiungere comunque l'orgasmo? La risposta richiede anche stomaco (magari a Venezia - dove il film è stato presentato Fuori Concorso – si poteva anche saltare la proiezione delle nove del mattino) – e alla fine anche quella si perde nel marasma di Kim Ki-duk. C'è anche l'incesto. Tutti temi validi da esplorare, che il regista apre ai suoi spettatori in maniera caotica e ripetitiva. Si ha la sensazione che nemmeno lui in fondo ci creda abbastanza.

Cosa resta? Una sequenza che sembra uscita dagli outtakes di Pulp Fiction o da un cartoon di Wile il Coyote: due ragazzi che inseguono per strada il loro bottino, un pene appena rimosso e potenziale organo da donare per un trapianto. E' in quella scena che si libera un umorismo dark: “Quei momenti sono necessari alla resa e alla efficace comunicazione del messaggio contenuto nel mio film – ha raccontato il regista in esclusiva a Film.it - Non sono assolutamente stato influenzato dalla tragedia greca. Ho fatto un film basato su quello che pensavo: le miei idee e i miei dubbi”.

Gli chiediamo se lo si può considerare a tratti horror, ma Kim Ki-duk scuote la testa: “Non è un horror. Ovviamente ognuno è libero di interpretare il film come meglio crede. E' più giusto definirlo un film sociale, la storia che affronta una grossa problematica che volevo tanto raccontare”. Non ci ha coinvinti fino in fondo.

Moebius, in uscita dal 5 settembre, è distribuito da Movies Inspired.


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