Biennale Venezia 2013
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Intervista: la grande bugia di Lance Armstrong

Alex Gibney, autore di The Armstrong Lie, ci parla di doping, potere e ciclismo

Lance Armstrong

06.09.2013 - Autore: Marco Triolo, da Venezia
"Questa non è una storia sul doping, ma sul potere". Parola di Alex Gibney, il regista del documentario The Armstrong Lie, presentato fuori concorso a Venezia 70. Il film racconta l'incredibile storia di Lance Armstrong, campione di ciclismo, vincitore di sette Tour de France, sopravvissuto al cancro e considerato per anni un eroe dello sport e un grande essere umano. Almeno finché la sua enorme bugia non fu smascherata: Armstrong, che si era sempre professato pulito, in realtà si dopava. "Armstrong ha mentito spudoratamente - ci ha spiegato il regista a Venezia - Molti sospettavano che si dopasse, ma il potere della sua storia e l'abilità di saziare le aspettative del pubblico gli hanno permesso di convincere tutti che la bugia era vera. Goebbels una volta ha detto: più grande è la bugia, più è facile crederci".
 
Dopo l'intervista in diretta TV con Oprah Winfrey, durante la quale Armstrong si è finalmente confessato, cosa hai capito di lui?
Ho capito due cose molto importanti: primo, che è stato onesto, secondo che non aveva capito la sua stessa parabola. È stato onesto perché mi ha parlato apertamente di cosa pensava del doping, del fatto che per lui non fosse stata una scelta da perderci il sonno ma una questione pragmatica, di semplice calcolo: se non mi dopo perderò, se mi dopo avrò qualche chance di vincere. Vorrei chiarire, però, che non si trattava solo di doping: con il dottor Ferrari Lance ha cercato qualunque strada possibile pur di vincere. Ma il punto più importante è quello che emerge alla fine del film, quando Armstrong si chiede se gli saranno mai riconosciute e restituite le sette maglie gialle. Lui dice di voler essere considerato un grande atleta, e in un certo senso lo posso accettare, ma non riesce a capire che prima di tutto dovrà fare i conti con quello che la gente pensa di lui come persona.
 
Dopo tutti questi anni, pensi che il pubblico americano abbia perdonato Armstrong?
Non credo proprio, perché non è convinto che Armstrong sia dispiaciuto. La sua redenzione dipende dalla volontà di essere umile. E poi Armstrong ha le sue colpe, ma è anche giusto dire che i media, particolarmente in America, hanno fatto un sacco di soldi coltivando l'immagine di Armstrong come eroe perfetto, e quando la storia è cambiata hanno continuato a guadagnarci trasformandolo nel perfetto cattivo, sempre attenti a tenere le telecamere puntate su di lui e non sulle loro mancanze.


Il regista Alex Gibney.

La storia della lavorazione del film è altrettanto interessante. Lo avevi iniziato come documentario sul ritorno in pista di Armstrong. Se avessi finito quel film, come pensi che ti saresti sentito dopo lo scandalo?
Quel film lo avevo finito, anche se non è mai uscito. Anche lì, comunque, avevo instillato un certo dubbio, ma avevo posto l'enfasi su quello che volevo credere, cioè che, anche se magari si era dopato in passato, il suo ritorno era pulito. Nel secondo film ho voluto al contrario mettere in luce la mia vulnerabilità in quanto fan. Da fan vuoi che il tuo eroe vinca e questo ha la meglio sulla tua percezione della verità. Questa è una cosa molto potente ed è la natura stessa del tifo sportivo.
 
Ma allora, se avevi già il dubbio, cosa ti ha convinto a fare un film su di lui?
La sua forza di volontà, così ferrea da sconfiggere una malattia mortale, un'idea davvero potente sia nello sport che nella vita.
 
Stephen Frears è stato qui a Venezia e ha detto di voler fare un film su Armstrong.
Lo sapevo, anzi addirittura ci sono tre film in lavorazione su di lui, quello di Frears, uno di Jay Roach e uno prodotto da J.J. Abrams. Ma credo che nessuno possa interpretare Armstrong meglio di Armstrong.
 
E che mi dici del progetto di Frank Marshall con Matt Damon, poi mai terminato? Essendo Marshall il produttore del tuo film, ne avete parlato?
Certo, anzi questo film nasce da quello. Non erano contenti dello script del film con Matt Damon, e così Frank ha deciso di farne un documentario e mi hanno chiamato per dirigerlo. La cosa divertente è che nella prima versione del film, Matt era il narratore, perciò questa sarà probabilmente l'unica occasione nella storia del cinema in cui Alex Gibney sostituirà Matt Damon in un ruolo. 
 
Qual è la tua relazione personale con Armstrong, attualmente? Inoltre, ha visto il film?
Non l'ha visto, l'accordo era che avremmo atteso le prime proiezioni pubbliche, per evitare che la gente pensasse che lui avesse avuto voce in capitolo nel montaggio finale. Ma ho ancora un'ottima relazione con lui e sono stato sempre onesto. Ad esempio, sono stato io a dirgli del titolo, "La bugia di Armstrong". Non ne era contento, ma si è adattato.
 
Cosa pensi che si aspetti lui da questo film?
Penso che voglia credere che ci sia una zona grigia tra perfetto eroe e perfetto cattivo. In un certo senso, condivido la sua idea, credo che fosse sincero nella lotta al cancro tramite la sua fondazione Livestrong, ma penso anche che abbia fatto una cosa terribile, coinvolgendo tutti quei sopravvissuti al cancro nella sua vita. Ha usato il cancro come scudo contro le accuse di doping, e questo è stato il suo vero crimine.
 
Cosa sta facendo Armstrong adesso? Come procede la sua vita?
Attualmente sta facendo quello che gli riesce meglio, cioè combattere. Ha delle cause legali pendenti, è stato citato in giudizio dal governo americano, ma temo che questo gli impedisca di fare i conti con la sua bugia. In un certo senso, la storia di Lance è complicata, ma lui è un uomo semplice: vorrebbe solo tornare a gareggiare, ma non gli è concesso. La cosa che vuole di più nella vita gli è stata strappata via per sempre.

The Armstrong Lie sarà distribuito in Italia da Warner Bros.

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