L'angusta cabina di un camion, opprimente. Fuori, il lungo serpentone dell'autostrada, l'orizzonte lontano e una meta che sembra non avvicinarsi mai. Alberto Fasulo ci trasporta in un mondo a metà strada tra la vita civile e il nulla, una frontiera che, può sembrare banale dirlo ma è così, è tanto fisica quanto spirituale.
Tir, road movie diretto con piglio documentaristico vincitore del Marc'Aurelio d'Oro come miglior film al Festival di Roma 2013, si snoda come l'eterna highway attraverso Francia e Italia, per raccontare la vita di un ex professore croato (Branko Zavrsan) diventato camionista per necessità. Con il nuovo lavoro prende quattro volte tanto, ma è stato costretto a sacrificare per buona parte la sua vita quotidiana: non vede quasi mai la moglie e il figlio, è sempre per strada, si lava a pezzi e vive a pezzi, negli anfratti di un lavoro che lascia pochissime volte un'ora d'aria o qualche ora per dormire.
Il regista Alberto Fasulo sul set di Tir
Lo sguardo di Fasulo è allo stesso tempo obbiettivo e vicino ai volti dei protagonisti (oltre a Branko, c'è il suo compagno di viaggio Maki), li segue, ne esamina le crepe del volto, le espressioni sofferte e di nostalgica allegria quando parlano dei loro cari, le storie difficili a contatto con la crisi. Tir parla di crisi economica, come tanti film che facciamo in Italia in questo momento, ma cerca di prenderla da un altro punto di vista, quello di coloro che, non italiani, cercano qui una chance. Ma, soprattutto, a differenza di un film che abbiamo visto a Venezia, L'intrepido, non sbatte la crisi in primo piano, ma lavora di sottrazione, raccontando principalmente la storia di due uomini.
Lo stile scelto da Fasulo spiazza: sembra di guardare un documentario, e si potrebbero spendere fiumi di parole su questa sorta di declinazione autoriale del “found footage”. Tutto è raccontato come fosse vero, nessuno “recita”, e questo implica che sia stato fatto un enorme lavoro di improvvisazione per catturare la realtà. In questo senso, Tir, pur essendo un racconto di finzione (le voci al telefono, compresa quella della moglie di Branko, sono di attori), può essere considerato comunque il documentario su un film fatto senza sceneggiatura, la rappresentazione di una realtà che vuole rappresentare la realtà.
Il difetto che possiamo trovare a questo film è che forse procede un po' troppo a rilento. Certo, è una scelta precisa di Fasulo, ma dopo un'ora sarebbe stato lecito aspettarsi una qualche accelerazione o, per lo meno, un ampliamento del discorso. Invece, Tir finisce esattamente come è iniziato, sulla strada, con lo sguardo di un uomo perso nel nulla asfaltato.
Tir è distribuito in Italia da Tucker Film.
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Tir – La nostra recensione
Tra documentario e finzione, il road movie vincitore al Festival di Roma 2013
27.02.2014 - Autore: Marco Triolo