Festival di Roma 2013
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White Storm: il Festival di Roma chiude col botto

Lo spettacolare poliziesco di Benny Chan è il film di chiusura perfetto

The White Storm

17.11.2013 - Autore: Marco Triolo
Guardare The White Storm di Benny Chan equivale a tornare indietro nel tempo. Sembra di trovarsi di fronte ai polizieschi che Hong Kong sfornava a raffica tra la metà degli anni Ottanta e il decennio successivo, i lavori di gente come John Woo, Johnnie To e Tsui Hark. Lo stesso sfrontato senso del patetico e del melodramma sposato con sparatorie filmate con perizia e grande estro, le stesse storie di amicizia virile, tradimenti, riconciliazioni, sangue.
 
The White Storm racconta la storia di tre agenti dell’anti-droga, Tin (Sean Lau), Chow (Louis Koo) e Wai (Nick Cheung), che pagano le conseguenze per aver messo i bastoni tra le ruote a un boss della malavita noto come il Buddha, durante un’operazione in Tailandia. Ci saranno ritorsioni e si scopriranno terribili segreti, ma la loro amicizia trionferà.
 
Erano anni che non si vedeva un film del genere fatto con questa convinzione: ci ha creduto Marco Müller, che lo ha voluto come film di chiusura del Festival. Ci hanno creduto anche i produttori, che lo hanno finanziato con un budget molto alto, e si vede. Tutta la prima parte del film è girata in Tailandia e si conclude con una scena madre che per la maggior parte dei film di Hollywood sarebbe valida come gran finale.
 
Invece siamo solo a metà del film: il resto si svolge cinque anni dopo a Hong Kong, dove i nodi arrivano finalmente al pettine. Alternati alle scene d’azione ci sono dei momenti di melodramma che in un film occidentale non vedremmo mai, e lo spettatore che non ha mai visto prima una pellicola di Hong Kong potrebbe avere bisogno di qualche minuto per abituarsi. Stiamo parlando di mamme morenti, padri che voglio riabbracciare figlie, amici distrutti dai sensi di colpa. I protagonisti, contravvenendo alle regole di Hollywood, piangono in più di un’occasione. Allo stesso tempo, quando c’è da arrivare al sodo, quando bisogna fare sul serio e il gioco si fa duro, Benny Chan inizia a giocare: gira tutto con estrema chiarezza e senso dello spazio, inserisce gag visive fulminanti – Tin che, per avere la meglio su un assalitore, spara con un mitra puntato da un’altra parte per colpirlo in volto con i bossoli – riprese mozzafiato, stunt sconsiderati. La CGI è quasi assente, mentre si prediligono le scene d’azione girate come si faceva una volta, con punte da applauso a scena aperta.
 
Abbiamo usato il termine “gioco” non a caso: il lavoro di poliziotto è visto nel film come una partita pericolosa tra la vita e la morte, più di una volta i personaggi parlano di “gioco” quando entrano in azione e più volte si ritrovano a dover bluffare per sopravvivere. C’è dunque un accostamento di dramma e leggerezza che funziona in maniera sorprendente.
 
Il Festival di Roma non poteva chiudersi meglio di così, con una delle pellicole migliori viste in questi ultimi dieci giorni.

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