

Meek's Cutoff

1845, primi giorni dell'Oregon Trail. Un gruppo di tre famiglie ha ingaggiato il montanaro Stephen Meek affinché le guidi oltre le Cascade Mountains. Meek finge di conoscere una scorciatoia e guida il gruppo lungo un percorso non tracciato attraverso il deserto, finendo per perdersi tra le rocce. I giorni passano e i viaggiatori devono affrontare la fame, la sete e la perdita di ognis peranza di salvezza. Quando però incrociano un nativo americano, gli emigranti dovranno decidere se fidarsi di ... [continua a leggere]lui, cessando di dar retta alla loro inaffidabile guida, e affidarsi nelle mani di colui che ritengono un nemico.

Il western, soprattutto quello cosiddetto “revisionista” partito alla
fine degli anni '60, è sempre stato un genere che è stato adattato da
vari cineasti per costruire opere del tutto personali, quando non
addirittura sperimentali.
Adesso tocca a Kelly Reichardt, già autrice del toccante “Wendy and Lucy”.
Lo stile scarno e verista esplicitato con quel lungometraggio in questo suo nuovo “Meek's Cutoff”,
presentato in concorso, si trasforma in una sintesi visiva di
impressionante precisione e compattezza, che riesce a costruire
un'atmosfera rarefatta di enorme impatto. Come referente cinematografico
questo film rimanda ad opere capaci di adoperare il tempo della ripresa
come stilema preciso e punto di riferimento interno alla logica
dell'opera stessa: su tutti viene subito in mente il bellissimo “Gerry” di Gus Van Sant.
In questo caso, come invece successo con molti grandi film precedenti,
non ci troviamo di fronte ad un ribaltamento del mito della frontiera e
dei codici del western: sono proprio queste idee portanti che reggono
l'ossatura e la logica interna delle figure in scena. La Reichardt però le adopera nella loro concezione più radicale, le spinge fino
all'estremo del loro significato e le fa cozzare l'una contro l'altra. E
se la ricerca della frontiera portasse alle estreme conseguenze, il
codice etico del singolo individuo reggerebbe?
A questo punto la costruzione della trama, seppur ridotta all'osso, è
d'obbligo: un gruppo di coloni americani nel 1845, nel tentativo di
seguire una via più redditizia verso la “terra promessa”, si perde
dietro le indicazioni errate di una guida lontana dall'essere
infallibile. Il viaggio verso l'ignoto si trasforma in un percorso
disperato ed ipnotico, tratteggiato dalla Reichardt con un rigore
formale degno di assoluta ammirazione. Oltre alla cura estetica del
lungometraggio la regista riesce costruire anche un percorso psicologico
dei protagonisti di impressionante chiarezza.
In questo la aiutano e non poco anche gli ottimi protagonisti, soprattutto la coppia formata da Michelle Williams ed un redivivo Will Patton, già interpreti per l'autrice di “Wendy and Lucy”.
“Meek's Cutoff” è
un film non certo semplice, tutt'altro. La sua stilizzazione formale
costringe lo spettatore ad uno sforzo preciso per entrare nello spirito
dell'opera; quando questo riesce però ci si trova di fronte ad uno
spettacolo suggestivo e spiazzante, che si muove fluido verso una fine
tutt'altro che scontata. Prezioso nell'elaborazione delle immagini,
lucido nell'introspezione psicologica, “Meek's Cutoff”
è in tutto e per tutto un film d'autore di ottima fattura, che merita
di essere apprezzato anche – anzi forse soprattutto – per l'ardua strada
che ha deciso di percorrere. Uno dei migliori lungometraggi visti fino
ad ora in concorso a Venezia.