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L'orizzonte degli eventi

Presentato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes, il nuovo film di Daniele Vicari semina entusiasmi e perplessità. Ambiguo, coraggioso, opprimente. Due ore in cui sembrano farsi spazio due film.

L'ORIZZONTE DEGLI EVENTI

12.04.2007 - Autore: Giulia Villoresi
Regia: Daniele Vicari
Con: Valerio Mastrandrea, Gwenaelle Simon, Lulzim Zeqja, Francesca Inaudi

Presentato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes, il nuovo film di Daniele Vicari semina entusiasmi e perplessità. Ambiguo, coraggioso, opprimente. Due ore in cui sembrano farsi spazio due film.

 Max Flamini (Valerio Mastrandrea) è un fisico nucleare che svolge attività di ricerca nel Laboratorio di Fisica Nucleare del Gran Sasso. La scelta di vita di seppellirsi dentro una montagna, con più di un chilometro di roccia sopra la testa, sembra non pesargli. Fuori è male, dentro è bene per lui, che al progetto Elios ha sacrificato ogni cosa.

Ma l’attività alienante del topo da laboratorio degenera sotto le pressioni impietose della competizione, della rabbia, della fretta: Max trucca i dati dell’esperimento, viene scoperto e poi cacciato dal Laboratorio, catapultato dalle viscere della montagna, sopra la montagna.

Fuori dai corridoi grigi, dai neon e dalle pareti d’amianto c’è un sole accecante, ci sono le pietre e i temporali furiosi. L’incontro con Bajram, un giovane pastore albanese, aprirà ai suoi occhi di scienziato la consistenza reale delle cose. Non più neutrini prodotti dal sole, ma sole vero, luce calda, vita vera. 

 Brian Greene scrive: “l’orizzonte degli Eventi è la superficie a senso unico di un buco nero; dopo averla oltrepassata, le leggi della gravità stabiliscono che è impossibile tornare indietro, impossibile sfuggire alla potente morsa gravitazionale del buco nero.”

Non è forse questo il valico estremo di alcune vite? Un passo decisivo nelle braccia dell’ignoto. Max Flamini è la parabola di un uomo ingurgitato dal buco nero. Questo mutamento di esistenza è reso talmente bene che sembra quasi di assistere a due film diversi, l’uno nelle viscere del Gran Sasso, l’altro sopra, all’aria aperta, campo di battaglia della vita reale.

La metafora del dentro e fuori, raccontata da Fritz Lang nei lugubri scenari di Metropolis, dove sotto terra ci sono gli schiavi e in superficie ci sono i padroni, sembra inizialmente capovolta da Vicari, che racconta le vite realizzate e benestanti degli scienziati contro quella di un pastore che si arrangia per sopravvivere. Ma è un vantaggio solo apparente, perché basta respirare insieme a Mastrandrea un po’ di quell’aria di montagna per sentirsi meglio dopo un’ora di soffocamenti.

Ma la morale del film è ambigua, il messaggio è triste e definitivo, e se per un attimo si è sperato di poter vedere vicino un pastore albanese e un fisico nucleare, la fine smentirà ogni cosa. L’orizzonte degli Eventi mangia e vomita le persone che si avvicinano troppo.