Benvenuti a Marwen

Benvenuti-a-Marwen_Poster-Italia.jpg

Nessuno si aspetta che Mark Hogancamp si riprenda dopo l'aggressione che lo ha ridotto in fin di vita, facendogli perdere la memoria. Eppure mettendo insieme i pezzi della sua vita passata e presente, Mark crea una città fantasiosa in cui può guarire ed essere un eroe. Dal suo immaginario riesce ad assemblare un'incredibile installazione artistica  - un testamento per le donne più potenti che ha conosciuto - trovando la forza per vincere nel mondo reale. 

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Welcome to Marwen
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Universal Pictures Italia
DURATA
116 min.
USCITA CINEMA
10/01/2019
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2018
di Gian Luca Pisacane

Robert Zemeckis è un regista che ama manipolare i suoi universi. Fugge dalla realtà per creare un mondo alternativo, dove gli attori recitano con la performance capture. I visi cambiano, vengono ringiovaniti (come Brad Pitt in Allied), totalmente modificati (Jim Carreyin A Christmas Carol), o “digitalizzati” (Tom Hanks in Polar Express). Magia del cinema. Zemeckis sfrutta le nuove tecnologie, e in Benvenuti a Marwen alterna la quotidianità con la finzione. Chi ha incastrato Roger Rabbit? Non proprio. Qui non ci sono cartoni animati, conigli parlanti, sventole che posano da femme fatale.

È la storia di Mark Hogancamp, un uomo che scappa dal suo trauma, che non affronta i suoi demoni. Si rifugia in un universo parallelo, ambientato durante la seconda guerra mondiale, in un paesino del Belgio. I nemici portano la svastica sul braccio, una strega lo vuole tutto per sé. La particolarità è che tutti sono “bambolotti” di plastica e stoffa. Perché Zemeckis ancora una volta sperimenta, dà fondo al suo immaginario, rischia anche di non essere compreso.

Per “entrare” in Benvenuti a Marwen bisogna scavare nella carriera di Zemeckis, riconoscere l’inventiva di un talento raro. Questo film è una summa di tutti i suoi tratti distintivi, che vanno ben oltre la macchina volante di Ritorno al futuro. Più volte si fa riferimento alla passione per l’alcool di Hogancamp, problema ben radicato negli Stati Uniti. In qualche modo qui Zemeckis vuole allontanarsi dal suo “pilota ubriacone” di Flight, quei tempi sono finiti.

Qui siamo più vicini alle funamboliche imprese di Philippe Petit in The Walk: la posizione dei piedi, l’equilibrio, una fune tesa tra due grattacieli. Hoogancamp ha un feticismo per le scarpe da donna, ama indossarle, fatica a percorrere i pochi metri che lo portano fuori di casa. L’asta che lo sostiene sono gli affetti, sotto di lui c’è il vuoto, l’incapacità di rialzarsi. E altro ancora.

Hogancamp è un’artista che vive oggi a New York, è diventato famoso per le fotografie dei suoi “modellini”. Quegli scatti riportano all’amore che legava Brad Pitt e Marion Cotillard nel deserto di Allied, ai sentimenti che non si spengono nonostante un conflitto globale. Il protagonista si sente un Cast Away nel mondo moderno, non riesce neanche a guardare in faccia i suoi aguzzini. È all’inseguimento della sua pietra verde, di un tesoro che lo faccia tornare a vivere. Nonostante i rifiuti, la violenza, la memoria che gli è stata “cancellata”.

Quindi chi è Hogancamp? La personificazione dell’epica di Zemeckis, un ricordo nostalgico di tutte le sue avventure. È un punto di contatto (Contact) tra presente e passato, tra i cult di un tempo e un modo di filmare che oggi può far storcere il naso. Ma superando gli scetticismi, Zemeckis è uno dei pochi che ancora riesce a far sognare con la “vecchia scuola”. Non una delle sue vette, ma Benvenuti a Marwen è tenero, sincero, forse troppo gentile in un’epoca di cinismo a buon mercato.