
I film più confusi del 2017

Madre!
A volte si esce dalla sala con un'espressione che René Ferretti non esiterebbe a definire "basita". Che cosa abbiamo appena visto? Cosa voleva dirci il regista, realizzando un film con così tanti punti oscuri e contraddizioni?
Prendiamo ad esempio Madre!, recente parabola biblica diretta da Darren Aronofsky. Noi lo abbiamo messo nella lista dei film del 2017 per cui vale la pena litigare, perché è senz'altro da elogiare da un punto di vista visivo. Eppure, la scelta di Aronofsky di trasformare la parabola della creazione in un'escalation di violenza visiva e personaggi insopportabili lo rende un'esperienza che disorienta, anziché far riflettere.
Diamo uno sguardo ai film dell'anno scorso che più ci hanno confuso...
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La cura dal benessere
Il thriller claustrofobico e psichedelico di Gore Verbinski è senz'altro ambizioso, ma proprio queste ambizioni lo schiacciano. L'epopea di Dane DeHaan, paziente ricoverato contro la sua volontà in una clinica di lusso nelle Alpi svizzere, scende sempre più nella follia, fino a un finale in cui una serie di rivelazioni arrivano forse troppo tardi per rendere il tutto comprensibile allo spettatore.

Justice League
Tra la dipartita di Zack Snyder, l'ingresso all'ultimo di Joss Whedon, la necessità di introdurre trame e sottotrame per i prossimi film DC oltre a una manciata di supereroi inediti, e di far persino resuscitare Superman, Justice League risulta un'opera diseguale, con toni contrastanti (dovuti alle grosse differenze tra i due registi) e una trama che fa acqua da tutte le parti. I personaggi non hanno motivazioni, specialmente il cattivo Steppenwolf che vuole distruggere il mondo perché... è cattivo. Se ne esce con un'idea ancora più confusa e imprecisa su cosa sia il cosmo DC, già non ben definito dopo Batman v Superman.

L'uomo di neve
Il regista Tomas Alfredson ci ha tenuto a dire che la colpa della scarsa riuscita de L'uomo di neve, thriller tratto dal best-seller di Jo Nesbo e, almeno sulla carta, a prova di bomba, è da imputare al tempo di lavorazione troppo breve. Arrivato in sala montaggio, Alfredson si è accorto che gli mancavano dettagli chiave e ha chiesto riprese aggiuntive. Finendo comunque per montare un film a cui mancava circa il 10% della sceneggiatura originale. Ecco perché ci sono trame che non si concludono e personaggi che vanno e vengono senza motivo.

The Bad Batch
Disponibile su Netflix, l'opera seconda della regista Ana Lily Amirpour è una sorta di cannibal movie con velleità autoriali fuori luogo, che vive di una serie di sviluppi di trama sempre in ampio contrasto con le motivazioni dei personaggi. Si formano alleanze, quasi storie d'amore, tra personaggi che nascondono segreti indicibili e lo spettatore pensa subito che questi segreti porteranno a scontri e sconvolgimenti. Ma non è mai così e tutto avanza senza mai arrivare al dunque, senza un vero climax narrativo. Lasciandoci lì a grattarci la testa.

Colossal
Ancora inedito in Italia, Colossal di Nacho Vigalondo è un insolito mix di monster movie e dramma indie. Anne Hathaway interpreta una donna che torna nella sua cittadina natale e scopre di avere uno strano legame con un mostro gigante che attacca regolarmente la città di Seoul, in Corea del Sud. La trama è davvero questa e, comprensibilmente, si rimane abbastanza confusi da un accostamento tanto ardito. Il film un po' ne soffre, perché sono due immaginari difficili da sposare anche stilisticamente. Ma alla fine è uno di quei casi in cui si esce "confusi e felici".

Personal Shopper
La domanda che tutti si sono posti, vedendo Personal Shopper, è: ma Kristen Stewart lo vede davvero questo fantasma del fratello oppure è tutta una metafora? Si tratta di un film sovrannaturale o lei è semplicemente pazza? La risposta l'ha data lo stesso regista, Olivier Assayas, durante una conferenza, in cui ha confermato che in realtà era tutto nella sua testa, "un percorso per trovare se stessa". Ma questo comunque non aiuta a spiegare del tutto il film.

Song to Song
Il confine tra genio ed esercizio di stile fine a se stesso è ormai sempre più labile nel cinema di Terrence Malick. Song to Song, che sulla carta racconta il triangolo amoroso fra tre musicisti - Rooney Mara, Michael Fassbender e Ryan Gosling - indulge come tutti gli ultimi film del regista in un flusso di coscienza che confonde la realtà con il ricordo. E come sempre riduce all'osso la narrazione, finendo per lasciarci in quell'abituale limbo in cui la metà di noi urla "Capolavoro!" e l'altra metà chiede un drink.