
Ci sono dunque i poliziotti armati di scudo e manganello, i black bloc con Molotov e spranghe e i no global che protestano in maniera pacifica. Ci sono giornalisti, residenti e gente proveniente da ogni angolo del mondo. E poi c’è l’Italia diventata un campo di battaglia: “E’ stato il nostro governo a fermare il movimento no global – afferma Vicari – In qualche modo i dimostranti sono stati fermati proprio a Genova, e i governi di tutto il mondo sono rimasti a guardare. Non hanno protestato. Credo che questa cosa sia talmente inaccettabile da mettere in discussione i principi democratici del nostro Paese e dell’Europa intera”.
Da Carlo Giuliani alle torture presso la caserma di Bolzaneto, un calderone di caos che genera odio: “Quello che mi ha tolto il sonno da quando ho cominciato a leggere gli atti dei processi ai poliziotti della Diaz è la ferocia degli eventi – spiega il regista – Come cittadino italiano mi interessa poco cercare di capire chi è stato a dare l’ordine. Quello che facciamo con questa storia è fotografare un degrado morale e civile che dobbiamo assolutamente comprendere in modo da metterlo fuori dal nostro orizzonte di valori”.

Manganellate e sangue, e un film che, dopo “ACAB”, c'è chi teme possa ulteriormente agire sulla percezione che le generazioni più giovani hanno della polizia: “Dopo i fatti di Genova si è creata una frattura forte tra polizia e cittadini – commenta il produttore Domenico Procacci – Noi raccontiamo i fatti accaduti, quelli veri. Pensiamo che questa frattura la si ricomponga facendo qualcosa. Al momento non è stato fatto nulla: non c’è stata mai nessuna assunzione di responsabilità da parte della polizia. Questa ferita non si rimargina sperando che i reati cadano in prescrizione”. Procacci spiega anche che in attesa che la polizia veda il film, “Abbiamo una consulenza da parte di uno studio legale che ritiene che non ci siano motivi per eventuali problemi sul versante legale. Devo però dire che non abbiamo trovato le porte aperte per finanziare il film. Ho capito che se non lo avessimo finanziato noi personalmente con la Fandango, aiutati da produttori rumeni e francesi, allora non lo avremmo mai fatto”.

Vicari conclude: “Abbiamo deciso di non indagare le motivazioni politiche del movimento no-global. La cosa che mi sembra chiara è la repressione di qualsiasi soggetto che esprimesse qualunque tipo di idea. Ecco il cuore politico del film: se queste persone avessero avute altre idee politiche in quei giorni, la sostanza sarebbe stata la stessa. L’attacco alla Diaz è un evento che mette in crisi il sistema democratico. Andava raccontato e andava raccontato anche il meccanismo della violenza e il modo in cui si espleta. Il fatto che queste persone siano state sequestrate e lasciate sole senza contatti con l’esterno e senza avvocato, rappresenta un evento di una gravità straordinaria”.
“Diaz”, in uscita il 13 aprile, sarà distribuito in cento copie da Fandango.