Drei

Un film tragicomico sull'amore, la morale e il sesso nella Germania moderna. Ambientata a Berlino la pellicola racconta la storia di un triangolo d'amore tra una coppia quarantenne e l'uomo di cui si sono entrambi innamorati.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Drei
GENERE
NAZIONE
Germania
REGIA
CAST
DURATA
120 min.
USCITA CINEMA
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2010

Lui, lei, l'altro e di nuovo lui. Il triangolo amoroso alla Renato Zero (o alla "Rocky Horror Picture Show") viene proposto da Tom Tykwer, sempre originale regista tedesco già autore di “Lola corre”, “Profumo” e “The International”.

Con “Drei”, ritorna in Germania, nella sua Berlino (vive nel quartiere di Prenzlauer Berg), filmando luoghi e situazioni che conosce bene. La capitale tedesca è infatti da anni uno dei centri di maggiore importanza per ciò che riguarda la teoria queer. E cioè l'idea di un annullamento della propria identità sessuale come punto di partenza di una visione neutra (e quindi più libera di sperimentare ) di tutte le relazioni sociali del soggetto in questione, che si tratti del sesso o del lavoro. A Berlino il tema è spesso dibattuto in conferenze e gruppi d'incontro (esiste addirittura un centro studi specializzato sull'argomento), e fa da corollario alla profonda assenza di pregiudizi che caratterizza la città.

Tykwer in realtà lascia politica ed etica sullo sfondo, e questo è il primo dei suoi tanti meriti. Tratta il tema con l'azione, raccontando fatti e non l'idea di questi. Non vuole inviare un messaggio, non almeno in maniera esplicita e per questo lascia che sia il racconto stesso a dipanarsi e, per chi lo vorrà capire fino in fondo, anche a sostenere una tesi. La sua innegabile bravura nel mantenere sempre alto il ritmo della narrazione, si ripete anche qui, nonostante si tratti di una commedia e non di un film d'azione. Gli split screen iniziali, l'ultizzo sempre oculato, ma imprescindibile delle musiche, i vari inserti onirici (forse la parte meno riuscita: rischiosamente comico quello dell'angelo, troppo didascalico quello della perdita dei denti come simbolo freudiano dell'impotenza), i richiami al teatro e alla danza, e la capacità di giostrare abilmente tra i tre personaggi, dando ad ognuno di loro spazio e possibilità di introspezione, sono tutti elementi legati che testimoniano la sua voglia di osare senza però perdere di vista la linearità e la compattezza del racconto.

Non parliamo di un capolavoro, ma di un bel film con alcuni difetti (soprattutto nella prima parte non si capisce bene dove si voglia andare a parare), sicuramente coraggioso e autoironico. Azzeccato è anche tutto il cast, ma è sempre così quando si scrive e si dirige bene.