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Mission: Impossible - Rogue Nation - La nostra recensione

Tom Cruise rilancia. E batte il banco nel'episodio più bello della saga action

Mission: Impossible - Rogue Nation

19.08.2015 - Autore: Pierpaolo Festa (Nexta)
Tom Cruise al 110%. C'è una sequenza che arriva alla mezz'ora del suo nuovo action spettacolare: si comincia guardando da più prospettive l'esterno del teatro dell'Opera di Vienna ripreso in tutta la sua imponenza. Tappeti rossi, limousine, smoking e in mezzo alla upper class austriaca seguiamo la superstar mentre cerca di stanare un paio di cecchini nascosti da qualche parte nell'enorme sala. Il teatro in cui è allestito il Turandot diventa un campo di battaglia cinematografico dove il regista Christopher McQuarrie alterna immagini liriche a un combattimento corpo a corpo che deve rimanere silenzioso per non farsi notare dalla platea. Le note di Puccini trascendono e diventano perfette per l'azione in quella che è una corsa contro il tempo in cui l'eroe si ritrova ad affrontare più nemici con un'unica pallottola a disposizione. 

 
In passato Mission: Impossible è stato un balletto action orchestrato da registi del calibro di John Woo, adesso diventa a tutti gli effetti un'opera action. Quella sola scena vale il prezzo del biglietto della nuova avventura di Ethan Hunt. Usciti da questo Rogue Nation ci si ricorda di Cruise che penzola all'esterno di un aereo, ma l'altro ricordo che portiamo a casa sono le gambe di Rebecca Ferguson, il suo vestito giallo sabbia, la bellezza e la potenza della sua Ilsa Faust, senza dubbio il personaggio femminile più curato tra le eroine ed antieroine dell'intera saga. Ecco finalmente una donna che può tenere testa a Hunt, un personaggio speculare certamente più intelligente e pronto a diventare più spietato se necessario. Dietro la macchina da presa McQuarrie (l'uomo che ha inventato I soliti sospetti) tiene in maniera sicura le redini dello spettacolo con una regia sorprendente che punta tutto sulla seduzione tra le due spie, un gioco dal forte potenziale erotico. 
 
La quinta missione strizza l'occhio a tutti i film precedenti della saga, citandoli direttamente e inserendoli nella narrazione. Prende il meglio di predecessori arrivando ai livelli del primo capitolo di De Palma con più controllo narrativo (quello aveva sofferto l'assenza di una sceneggiatura perfino sul set). McQuarrie trova la chiave narrativa giusta equilibrando il meglio del terzo debole film di J.J. Abrams e lo spasso del quarto film di Brad Bird: le acrobazie degne dei fumetti sono onnipresenti pregne però di uno spirito da spy-story vintage che è proprio quello che serviva a rinfrescare la saga. Il tutto al galoppo dell'azione e finalmente con un cattivo efficace a cui bastano poche parole per essere minaccioso in maniera convincente. 

  
In prima linea c'è una superstar che finge di sforzarsi il più possibile verso il gioco di squadra, ma i suoi colleghi sono ridotti a macchiette (si veda il personaggio di Renner, degradato rispetto all'episodio precedente). Il Cruise Control monopolizza l'intero spettacolo: dall'acrobazia sull'aereo ai soliti salti giù dai piani alti degli edifici, a sei minuti di apnea quasi a rischio infarto, per poi salire in sella a una moto a tutta velocità sfiorando appena i freni nel corso di un inseguimento. Niente controfigure, è tutto vero.