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L’isola dei cani, la recensione del film 'giapponese' di Wes Anderson che omaggia Kurosawa

Il regista vola metaforicamente in Oriente in stop motion confezionando un film spassoso e anche provocatorio che ha aperto il Festival di Berlino 

L'isola dei cani

L'isola dei cani

21.02.2018 - Autore: A.L. (Nexta)
Il sarcasmo iconico di Wes Anderson, con i suoi personaggi sempre equidistanti dai drammi che vivono e dalle emozioni che li attraversano, una caratteristica che lo ha di fatto eletto regista re del cinema radical chic, - cosa c’è in effetti di più intellettualmente elevato di qualcuno che non si fa mai coinvolgere troppo dalla vita - trova la sua forma di espressione più riuscita nel suo ultimo film di animazione in stop motion.

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Sarà per la plasticità con cui la tecnica di ripresa particolare consente al regista texano di creare un mondo che finalmente si piega al suo stile in maniera completa e non viceversa, sarà che la storia di un gruppo di cani oppressi e bersagliati da un regime totalitario in Giappone ci parla del rapporto molto attuale tra paura e giustificazione della violenza, sarà per la crudezza che l’animazione concede maggiormente rispetto al lavoro sui personaggi in carne ossa, ma comunque L’isola dei cani è un film delizioso, ironico, e ben bilanciato tra bastone e carota. Ossia è un lavoro dove i temi più violenti e distopici, la storia è ambientata nel 2037, vengono sia attutiti dalla scelta del formato di animazione, sia dal fatto che essi vengano incarnati da personaggi non umani e che la violenza di certi argomenti - la repressione delle minoranze, la lotta per la sopravvivenza - passino in secondo piano in una pellicola dove l’avventura alla fine domina la dimensione più filosofica.



Ulteriore punto a suo favore è inoltre la capacità di usare l’estetica orientale che richiama il mondo degli anime e lo spirito di una terra con una sua cultura molto iconica per amalgamarla in numerose scene con la passione per i piani orizzontali e stratificati tipici del regista americano. Alla fine in una missione del genere, la seconda in stop motion dopo Fantastic Mr. Fox ma più ardita, visto che si spinge a omaggiare senza scimmiottare un universo ben preciso, Anderson porta con sé le voci dei suoi attori più amati: Bill Murray, Edward Norton, Jeff Goldblum, Frances McDormand e così si sente tranquillo che anche nell’Est del mondo qualcuno saprà ricordargli il suo passato e il suo stile senza per questo dover perdere per forza la bussola dell’originalità. Ma non c’è rischio alcuno in questo caso.



Pur viaggiando verso il Sol Levante e allontanandosi da casa Anderson non fa altro che riscoprire il suo stile in una nuova veste se possibile ancora più forte e precisa. Lo snobismo dei suoi personaggi si fa senso dell’humor grottesco e tutto ciò che vediamo animarsi davanti agli occhi ha una carica visiva senza precedenti. Immaginiamo solo in minima parte quanto un ‘fissato’ della scenografia e dei costumi sia potuto divertire a trovare nuovi modi, ma sempre propri, per raccontare l’Oriente del sushi, il Giappone fantasy di Kurosawa, del teatro kabuki, dei robot, e dei ciliegi in fiore. In questo caso però il divertimento è soprattutto il nostro.
 
L’isola dei cani in uscita a maggio, è distribuito da 20th Century Fox.