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Judy - Renée Zellweger è Judy Garland nel biopic sulla star scomparsa (Recensione)

Alla Festa di Roma rivive il mito di una tra le più grandi attrici della storia del cinema... e prenota l'Oscar.

22.10.2019 - Autore: Mattia Pasquini
Erasmo da Rotterdam fece quello della follia, ma sarebbe più il caso di parlare di elogio dell'imperfezione per il Judy di Rupert Goold. Dopo l'esordio basato sul libro di memorie di Michael Finkel (True Story), il regista inglese si rifà al dramma teatrale End of the Rainbow di Peter Quilter per raccontare gli ultimi mesi di vita di Judy Garland. E per fare a Renée Zellweger quello che deve esser stato uno dei migliori regali per i suoi 50 anni.

Molto è stato conservato di quello spettacolo, soprattutto la sequenza delle canzoni interpretate, ma molto nel film viene inevitabilmente affidato alla protagonista. Che da tempo non avevamo avuto modo di apprezzare tanto - fatta salva l'apparizione come cinica mecenate nel What/If su Netflix - e che nonostante qualche incertezza ci accompagna in maniera soddisfacente fino alla conclusione. Senz'altro prevedibile, ma capace persino di commuovere per quanto 'dovuta'.



Imperfezione e incertezze diventano verità, tanto nella finzione scenica quanto nell'encomiabile lavoro compiuto dalla protagonista. Che appare meno sicura, forse diretta con meno successo, in molte delle scene che dovrebbero marcare il dramma che rappresenta. Si sfiora il biopic televisivo in alcuni momenti, in particolare nei flashback hollywoodiani, ridondanti e didascalici nel porre le basi di una difficoltà esistenziale che affondava le sue radici in una infanzia di privazioni e pillole.

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Judy Garland, ci viene ricordato, morì a 47 anni, poco dopo la tournée londinese del Talk of the Town. Ma il suo mito ha saputo sopravviverle, come sappiamo. Purtroppo a costo di una sofferenza che l'ha accompagnata per tutta la vita, che l'ha resa schiava di una immagine che "non era lei". Che l'ha costretta - ieri - a sognare una patatina fritta e un morso a un hamburger, un tuffo in piscina, una festa di compleanno con amici veri o un fidanzato non da rotocalco e - da adulta - una cena con amici sinceri, un alleato su cui contare, di avere i propri figli accanto o di realizzare i desideri che tutti abbiamo, magari semplicemente di una vita meno faticosa.



Tutto questo emerge con forza dalla fotografia che ci viene offerta. A tratti semplicistica e patinata, ma nella quale si riesce ad avvertire tanto la magia, quanto la nostalgia o la maschera. E che pur non riuscendo a restare con continuità nei binari di una autenticità che sarebbe stata fondamentale, non ci fa mai abbandonare la scena. Si resta con Renée e la sua Judy, anche quando convincono meno. Conquistati da quella imperfezione che dicevamo, e decisi a difenderla. Pronti a dichiararsi alleati dello sfortunato mito.

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Un mito al quale la Zellweger rende un omaggio tale da meritare una interminabile standing ovation al Festival di Toronto, che la leggenda vuole interrotta solo su richiesta dell'attrice in lacrime, e che la lancia sulla strada verso l'Oscar, come la retorica promozionale statunitense già urla entusiasticamente a gran voce. L'unica risposta che non avremo mai, purtroppo, per noi e per lei, e se davvero la vita da casalinga con cui il produttore Louis B. Mayer minacciava la piccola Frances Gumm di Grand Rapids non sarebbe valsa la pena di essere vissuta, rinunciando a tutto questo.


Judy sarà nelle sale italiane a partire dal 16 gennaio 2020, distribuito dalla Notorious Pictures, in occasione del 50° anniversario della morte della Garland e dell'80° anniversario de Il Mago di Oz.