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L'ultimo re di Scozia

Il film mostra con sagacia la superficialità e la condiscendenza con cui la cultura occidentale ha guardato i problemi sociali e la politica di un continente come l'Africa

L'ultimo Re di Scozia

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
   

Quest’ultimo lavoro di Kevin Macdonald, di cui abbiamo amato il precedente “La morte sospesa” (Touching the Void, 2003), si di dive piuttosto nettamente in due parti tra loro non omogenee. La prima metà della pellicola verte sulla messa in scena dell’incontro e della fascinazione reciproca tra Garrigan ed Amin: il film racconta con intelligenza l’inizio e lo sviluppo di un rapporto fatto di sostanziali differenze sia etiche che culturali. Soprattutto, “L’ultimo re di Scozia” mostra con sagacia, attraverso la figura di questo giovane medico un po’ sbarazzino, la superficialità e la condiscendenza con cui la cultura occidentale ha guardato i problemi sociali e la politica di un continente contraddittorio come l’Africa a partire dagli anni ’70. In tale rappresentazione tutto funziona a meraviglia, e ci si trova ad interessarsi alla storia delle due principali figure.

La seconda parte del film sterza invece verso dei meccanismi narrativi molto più discutibili, scivolando senza alcun motivo apparente verso il melodramma e poi il thriller. Anche la regia di Macdonald diventa più confusa e tendente a ricercare l’effetto gratuito, lasciandosi sedurre con troppa facilità dalle tinte forti di un’estetica grottesca non coerente con l’inizio. A questo punto “L’ultimo re di Scozia” perde di interesse e la presa sullo spettatore si smorza tramutandosi abbastanza velocemente in delusione: perché far diventare un prodotto di genere un qualcosa che invece sembrava gettare uno sguardo originale  e non semplicistico su una storia che si prestava con tanta efficacia ad un discorso di ben altra profondità?