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L'ora di Marra

Presentato in concorso il terzo film italiano "L'ora di punta" di Vincenzo Marra che dopo i riusciti "Tornando a Casa" e "Vento di Terra" fa decisamente un passo indietro

L'ora di punta

06.09.2007 - Autore: Gabriele Marcello
 

       

Un giovane agente della guardia di finanza, Filippo Costa, sebbene di modesta estrazione sociale, arde dal desiderio di fare carriera e di avere potere. Impara subito le regole della corruzione e capisce che si può raggiungere un risultato migliore  seguendole pedissequamente.  Sul suo cammino incrocia Caterina, una donna matura e sensuale, che lo aiuta ad acquisire le giuste conoscenze per farsi strada nel mondo dell’edilizia e della finanza, abbandonando il suo vecchio lavoro. Le regole del gioco sono ferree e l’unica qualità per sopravvivere è non avere una morale ed una coscienza. Filippo giocherà la sua partita  fino in fondo, divenendo un essere senz’anima.

Sulla carta sembra un idea vincente: un apologo morale sul potere, uno spaccato dell’alta finanza italiana, un uomo senza qualità ed una donna matura innamoratissima.  Tutto perfetto ma il film non è, nei fatti , come si prospetta. Marra utilizza il suo stile (inquadrature fisse, movimenti di macchina essenziali, silenzi e tempi dilatati), amato e odiato a seconda dei casi,  avendo tra le mani una storia  che poco si sposa alle sue intuizioni e che avrebbe necessitato di un occhio comunque freddo, ma almeno coerente e più spregiudicato . Il film pecca proprio in questo: troppo piatto per essere cinematografico fino in fondo. Le accuse, fatte a Marra, di aver girato un tv movie non sono poi così eccessive, dal momento che non è solo un problema di  stile ma anche di scrittura. La sceneggiatura arraffa a man bassa i più triti luoghi comuni sulla finanza e sul mondo inaccessibile delle alte sfere, esemplificandone, in maniere maldestra, simboli e feticci, che non riescono a giungere ad una rarefazione e quindi a divenire spietati.

Anelli, ristoranti ed appartamenti di lusso, luoghi più o meno conosciuti della Capitale, (fotografati egregiamente da Luca Bigazzi) incorniciano le vicende di Filippo e Caterina che non appassionano mai, colpevoli le “non” interpretazioni degli attori. Se alla Ardant le si perdonerebbe tutto, stavolta, la sua essenza alla parisienne non basta e non si può che constatare come, quasi a mo di sfregio, il regista si accanisca sul suo volto non più perfetto e sulle sue non espressioni ( volute!). Michele Lastella, uno dei nostri “campioni” della recitazione, non ha anima e non ha bravura ma solo presenza. Alto, bello ed inutile, l’attore ha solo una espressione che utilizza nei novanta minuti di pellicola e sembra sempre in attesa di uno scossone che non arriva.
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