

The Last Station

Dopo quasi cinquant'anni di matrimonio, la Contessa Sofa, devota moglie di Leo Tolstoj, scopre improvvisamente che tutto il suo mondo va gambe all'aria. In nome della sua nuova religione utopica e delle sue idee anarco-cristiane, il grande romanziere russo ha rinunciato al titolo nobiliare e alle sue proprietà per diventare povero, vegetariano e celibee potrebbe inoltre essere stato convinto da Chertkov, il suo discepolo, a lasciare i diritti dei suoi iconici racconti al popolo russo anziché alla famiglia. Con ogni stratagemma, la donna lotta ferocemente contro la comunità libertaria che si è installata in casa sua per quel che ritiene le appartenga. Allontanata da Tolstoj riuscirà a rivederlo solo in punto di morte, nell'ultima stazione.

Roma (Cliccate qui per dare un'occhiata al nostro speciale sul Festival del Film)
- Non essendo argomento obbligatorio da affrontare nei programmi
scolastici dei nostri licei, i molti di noi che non hanno mai letto uno
dei grandi scrittori russi del diciannovesimo secolo sono abituati a
pensare alle loro opere come a qualcosa di "pesante". Ci si basa dalla
voluminosità delle pagine dei loro libri, dall'idea che una cultura
così fredda e per certi versi "lontana" non possa che aver prodotto
testi di altrettanta complessità o lungaggine. E' facile così che, una
volta aver preso con sé stessi del fatto che mai si leggerà qualcosa di
questa grande e fondamentale letteratura per la nostra civiltà,
difficilmente si ritornerà sui propri passi.
Facciamo questa premessa per una sola ragione: se anche non avete letto mai un libro di Tolstoj
e pensate che, dato quel che, sbagliando, pensate del personaggio,
anche un film a lui dedicato possa essere "difficile", vi sbagliate. "The Last Station"
parla sì degli ultimi giorni di vita di Tolstoj, ma è una pellicola
incentrata sull'amore, sulla sua resistenza, sulla forza che lega due
persone per tutta la vita sovrastando qualsiasi filosofia, qualsiasi
litigio. Lo può vedere chiunque provando le stesse, intense, emozioni
di chiunque altro. Tolstoj è il tramite, non lo scopo.
Tratto dall'omonimo libro dell'americano Jay Parini, "The Last Station"
ripercorre la storia del difficile rapporto tra Tolstoj e sua moglie
quando lo scrittore cominciò a pensare seriamente, con tanto di nuovo
testamento, di lasciare i diritti dei propri scritti all'umanità. Una
scelta che rendeva inquieta la consorte. Siamo agli sgoccioli dell'era
dell'aristocrazia russa, quelle entrate sarebbero fondamentali per gli
otto figli della coppia. Al di là dell'oggetto della contesa
(l'eredità), il conflitto è fondato sulle due diverse visioni del mondo
assunte dai due: Lev Tolstoj sta sposando sempre più
l'idea di una società in cui non esiste la proprietà privata mentre la
moglie continua ad essere ancorata alle tradizionali dinamiche di
classe dell'epoca. Nonostante questo i due si amano intensamente: hanno
condiviso una vita, non c'è litigio che possa interrompere il dialogo
tra le loro anime. Parallelamente al loro continuo allontanarsi e
riprendersi, nel film assistiamo alla storia dell'assistente Bulgakov
innamorato di una ragazza della casa. Non c'è insegnamento o fede che
tenga davanti alla passione: è questo il motore dell'universo e di
qualsiasi altra idea che possa ambire ad unire e rendere felici gli
individui. Tolstoj per primo ne è consapevole: è il primo a non
rispettare mai fino in fondo quanto predica.
Probabilmente "The Last Station" non sarebbe il bel film che è se non fosse stato per i suoi interpreti. Non c'è aggettivo giusto per descrivere Helen Mirren,
con un superlativo rischieremmo di banalizzarne i meriti, basti dire
che senza di lei non ci sarebbe stato film. Meno appariscenti
nell'intensità, ma quasi altrettanto eccezionali sono Cristopher Plummer, James McAvoy e Paul Giamatti. La bravura del regista Michael Hoffman
è tanto nella direzione e nella scelta del suo cast, quanto nel rendere
fluido e sempre credibile un racconto composto da tanti piccoli
elementi, privo di veri e propri snodi narrativi (e per questo forse
taluni potrebbero trovarlo lento), ma allo stesso tempo ricco di
sfumature, di punti sospesi, di equilibri in continuo divenire e per
questo avvincenti. Farlo con gusto, senza drammatizzare eccessivamente,
ma neanche banalizzare, non è poco.